Giulia Marchi in mostra a Bologna

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“La natura dello spazio logico” è la nuova personale di Giulia Marchi. Lo spazio è quello del filosofo austriaco Ludwig Wittgenstein (1889-1951) per il quale il lavoro filosofico, come spesso quello progettuale in senso architettonico, è un lavoro su se stessi e sul proprio punto di vista. L’artista riminese presenta al Labs Contemporary Art di Bologna (via Santo Stefano 38) gli esiti più recenti di una espressività che spesso si connota di narrazione, qui costituita da un corpus di fotografie e lavori scultorei in marmo: l’esposizione, a cura di Angela Madesani, è stata prorogata fino al 31 gennaio. Quattro lastre di marmo della serie L’artefice, sulle quali è inciso l’esametro virgiliano «Ibant obscuri sola sub nocte per umbram», scelto e proposto dall’artista nell’errata versione di Jorge Luis Borges: «Ibant obscuri sola sub nocte per umbras». Sbaglio voluto dal poeta argentino che amava gli errori tanto da considerarli una prova di verità e sicuramente di umanità. Una quinta lastra più grande reca la scritta «Null», zero in tedesco, la lingua del filosofo che ha guidato l’intero progetto di lavoro.

Marchi, perché un riferimento al pensiero di Wittgenstein?

«Il riferimento a Wittgenstein e alla sua ricerca sullo spazio sono fondamentali per comprendere l’intero corpus di lavori presenti in mostra. Il filosofo è stato infatti anche architetto e ha dedicato all’architettura importanti passaggi della sua speculazione filosofica. Nei suoi testi della metà degli anni Dieci emerge il concetto di spazio a cui faccio riferimento: “Luogo spaziale e luogo logico concordano nell’essere ambedue la possibilità di un’esistenza”. L’apparentamento tra spazio logico, mentale e spazio fisico, architettonico, è quanto mi interessa comprendere. La mia è una riflessione di matrice esistenziale che riflette sulla gestione di ognuno di noi all’interno di un luogo, sul trovarsi in una dimensione che non ci apparterrà mai totalmente».

Perché ha scelto di muoversi in labirinti concettuali, da Cnosso a Borges?

«Il labirinto è il luogo problematico per definizione, un luogo in cui la posizione occupata da un corpo che lo attraversa viene continuamente messa in discussione. Trovare la via equivale alla capacità di riconoscere un’appartenenza, risolvere il percorso è per me riuscire a rispondere alle domande che mi pongo nel momento in cui intraprendo un progetto artistico, ogni passaggio apre altre possibilità, ogni via può essere quella giusta per uscire dal dedalo (e a volte mi piace rimanerci… )».

Nei lavori scultorei ha invece unito l’approccio visivo a quello materico.

«Negli ultimi anni la scultura è diventata molto presente nel mio lavoro. È un’esigenza di tattilità, di concretezza; caratteristiche che ho comunque sempre ricercato anche tramite un utilizzo della fotografia piuttosto personale e manuale. In questo caso specifico la serie fotografica che dà il titolo a questa mostra è in realtà la documentazione di allestimenti scultorei realizzati in studio, per cui declinare le immagini in sculture è stato un passaggio quasi obbligato».

Angela Madesani scrive che la sua diventa una «riflessione di matrice esistenziale all’interno di un luogo».

«Angela Madesani segue la mia ricerca da molto tempo, anche se questa è la prima volta che si dedica alla curatela di una mia mostra. Conosce il mio lavoro e soprattutto il mio modo di “essere” nel lavoro, riconosce l’importanza del percorso che, come afferma nel testo critico, ancor prima di essere un percorso artistico è un percorso culturale rivolto a me stessa e alla mia necessità di rispondere a delle domande. “Mi pare di potere rintracciare una sorta di fil rouge che lega i diversi lavori fra loro”, scrive. “Una riflessione sul concetto di limite, attraverso l’errore, l’umana debolezza, lo spaesamento, il dubbio, l’incapacità di districarsi. Limite, errore, dubbio che forse sono proprio il senso più recondito, più temibile ma anche più affascinante dell’esistenza”». Orari: martedì-venerdì: 15.30-19; sabato: 9.30-12

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