Giulia Marchi, la fotografa riminese che sposta il punto di vista

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Il processo creativo di Giulia Marchi, una sorta di “spazio logico” connesso, intrecciato, ambisce a una totalità, un’attitudine al sentire l’immagine prima ancora di comprenderla, ed è al centro di ben tre mostre in contemporanea, a Bologna, Roma e Como. Fino al 5 aprile è presente negli spazi di Labs Contemporary Art a Bologna in una collettiva dal titolo Ridisegnare lo spazio assieme a Massimo Vitali, Andreas Gefeller e Marina Caneve, curata da Angela Madesan,i che propone il lavoro di quattro artisti che utilizzano il mezzo fotografico.

L’artista riminese ci porta in quello che la curatrice stessa definisce in catalogo «uno spazio concettuale, in cui la sua lettura svela dimensioni ulteriori».

Giulia Marchi espone due immagini dalla serie Fundamental, nate dall’intento di mettere in relazione la propria ricerca artistica con gli scritti dell’architetto contemporaneo olandese Rem Koolhaas dedicati al concetto di spazio e alla modalità con la quale ci relazioniamo a esso. Ricerca letteraria e approccio concettuale sono precisi stilemi del linguaggio artistico di Marchi. Il contaminare con materiali di diversa natura la scena dell’arte è parte integrante del suo lavoro. Fotografare per lei è riflessione; richiede e pretende conoscenza, studio e comprensione profonda.

Le sue personali aperte rispettivamente fino al 7 e 22 maggio e attualmente in corso a Roma e Como – Una pietra sopra alla Galleria Matèria e Un tempo lungo alla comasca Galleria Ramo – allargano ulteriormente i confini del suo progetto di ricerca inserendo materiali quali marmo, oro zecchino in foglia, carta e ferro.

Ha scritto della sua opera nel testo della mostra romana il critico e storico della letteratura Andrea Cortellessa: «Vedere il linguaggio rappresenta dunque un caso quintessenziale di sinestesia, ma anche una condizione allucinatoria».

Marchi, lei ha posto al centro di questi nuovi lavori in mostra l’esigenza di ridisegnare, allargare i concetti di spazio, di tempo. Perché?

« Una pietra sopra sono io oggi, i miei studi e la mia quotidianità. C’è un’opera a Roma il cui titolo è emblematico e forse è la sintesi del percorso intrapreso sino a ora: “Questa non è una risposta ma un evento del vuoto”. È una citazione di Emilio Villa, un essere umano speciale, che appunto scelgo come titolo per un quadrotto di ferro alto più di tre metri che da terra raggiunge il soffitto interrotto a una certa altezza da un leggerissimo foglio di carta. C’è il peso del rimanere ancorati a terra in quest’opera e c’è il tempo della lettura, della riflessione che le parole riportate sul foglio pretendono. I materiali sono fondamentali alla comprensione del lavoro e portano con loro le peculiarità dei due concetti espressi, appunto il peso e il tempo. La mediazione scultorea è una conseguenza naturale del mio pensare al lavoro oggi. Michelangelo affermava: «Tu vedi un blocco, pensa all’immagine».

Nella precedente mostra al Labs aveva seguito i fili rappresentati da Wittgenstein e dalla sua ricerca sullo spazio, così come dai labirinti concettuali indagati da Borges. Qui invece i testi di riferimento sono vari e soprattutto di diversa natura.

«Il percorso del mio lavoro è continuamente dialettico, non riesco a vedere chiusure o restituzioni definitive. Una pietra sopra è letteralmente un cambio di prospettiva che metto in atto nel procedimento di ricerca, spostare il punto di vista spesso riserva inaspettate risposte. Realizzare un’opera per me equivale alla stesura di un testo, i materiali sono parole grazie ai quali in primo luogo parlo a me stessa; quanto accade a chi guarda il mio lavoro non è cosa mia, non pretendo di imporre significati o concetti».

«Le carte specchiate presenti a Roma e Como, ma anche in fiera a Miart, e in questi giorni esposte da Labs Contemporary Art – prosegue –, sono forse emblematiche per quanto sto affermando, la parola incisa è un “vettore”, un suggerimento a ricercare se stessi in quello che si sta osservando. Un tempo lungo, per menzionare Como, è quindi un capitolo di un testo che riscrivo partendo da presupposti ben consolidati. I materiali scelti sono le certezze di un discorso perennemente in evoluzione. Soggetti alla ricerca del loro predicato verbale».

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