Giovanni Sollima e l’Orchestra Cherubini a Cervia per “La musica che sale”

Tra le prestigiose collaborazioni con solisti e direttori che negli anni – e sono quasi venti – l’Orchestra Cherubini ha consolidato, proprio nel segno del percorso formativo che rappresenta un dato costitutivo di questa compagine giovanile, un posto di rilievo tocca senza dubbio a quella con Giovanni Sollima. Violoncellista dei più celebri, compositore tra gli italiani il più eseguito al mondo e, soprattutto negli ultimi anni, direttore e concertatore di ensemble e orchestre, nonché guida carismatica dell’inconfondibile progetto Cento cellos, Sollima torna ancora una volta a esibirsi proprio con la Cherubini in una nuova piccola tournée che prende il via venerdì 3 marzo alla Darsena del Sale di Cervia. Un concerto che, inoltre, inaugura “La musica che sale”, la rassegna che nella raffinata struttura cervese ospiterà nei prossimi mesi altri due appuntamenti con la stessa orchestra (prima con Simone Zanchini alla fisarmonica, poi con Flavio Boltro alla tromba).
Ma restando a questo primo concerto, il programma scelto è espressione del talento poliedrico di Sollima, a proprio agio sia con il repertorio più tradizionale sia con la sperimentazione di sonorità inaudite. Infatti, il celeberrimo Primo Concerto per violoncello e orchestra in do maggiore composto da nel 1783 da Haydn è incastonato tra due sue composizioni: The N-Ice Cello Concert e When We Were Trees per due violoncelli.
Sono brani – gli abbiamo chiesto – in cui vibra una sorta di afflato verso la natura: nel primo sembra risuonare l’allarme per il rischio ambientale provocato dall’uomo, nel secondo l’evocazione delle “radici” naturali dell’uomo. Che ruolo riveste l’elemento “naturale” nella sua musica?
«In realtà non ho mai progettato alcun messaggio di questo tipo, però sono diversi gli aspetti che mi “provocano” in questo senso. Per esempio la fortissima attrazione per la natura che, negli ultimi anni, mi ha portato ad allontanarmi sempre di più dalla città e a rinunciare a luoghi dove ritmo, aria, spazio, tempo, albe, tramonti e odori non erano più percepibili. Eppoi, forse un violoncello può raccontare sempre qualcosa di naturale: del resto è fatto di legno, un materiale energetico e naturale. In fondo, era un albero».
A proposito di materiali: “The n-ice cello concert”, brano protagonista anche di uno straordinario documentario, è stato concepito per un incredibile strumento di ghiaccio, che però ora viene riproposto con un altro violoncello inconsueto, uno dei tanti (fieno, cartone, alluminio, seta…) con cui lei si è misurato.
«Si tratta di un brano fragilissimo come fragilissimo era il violoncello di ghiaccio che abbiamo trasportato in una vera avventura dal Trentino fino al mare di Sicilia. Ma l’idea di fragilità che mi ha ispirato, insieme a quella di ricerca musicale, può trovare sostanza anche nell’arcaicità di un altro materiale, che in questo caso è la carta riciclata. Suonerò infatti un violoncello di cartone. Un violoncello a tutti gli effetti, che però racconta un’altra storia».
Invece “When we were trees” prevede una struttura molto articolata, con richiami eterogenei che dalle risonanze della foresta arrivano fino a Vivaldi. Può descrivercela?
«A proposito di “natura” e di alberi, mi viene in mente che quando l’ho scritta, nel 2008, vivevo tra Berlino e Palermo. In Germania ero riuscito a far crescere i fichi d’India in giardino, mentre in Sicilia un gigantesco e centenario Ficus Magnolia mi entrava quasi in casa… In ogni caso, è un brano in sei movimenti, vagamente ciclico, in cui si passa dal ricordo di un amico architetto africano che costruiva case sugli alberi ai nostri emigranti che tra Otto e Novecento scrivevano lettere ai parenti su grandi foglie d’albero utilizzate come cartoline con tanto di francobollo, fino a Vivaldi, a un finale di un suo concerto dalla forma “ramificata” da cui prendono le mosse le mie variazioni… movimenti che sono come gli episodi di un racconto».
Il concerto inizia alle 20. Info: 0544 249244; 0544 974400; orchestracherubini.it

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