Giovanni Chiarini, pittore di luci e toni attenuati

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Giovanni Chiarini (Faenza 1886 – Latte di Ventimiglia 1963) dopo la Scuola Arti e Mestieri di Faenza, frequenta l’Accademia di Belle Arti di Ravenna diretta da Vittorio Guaccimanni, personalità di spicco nell’ambiente culturale cittadino, grande pittore di cavalli, soldati e battaglie, ma principalmente del paesaggio ravennate, delle pinete e degli acquitrini. Frequenta i corsi di pittura tenuti dal 1901 da Domenico Miserocchi, “Il Pastorino”, successore di Arturo Moradei e, ottenuto il diploma, si trasferisce a Bologna entrando a far parte della vivace compagine di artisti della città. Frequenta il marchigiano Domenico Ferri, dal 1896 professore all’Accademia cittadina, ben conosciuto freschista di edifici pubblici come il Palazzo del Governo di Ascoli Piceno ed ecclesiastici, le chiese del Sacro Cuore di Gesù e di Santa Maria Maddalena a Bologna e, con lui, anche Alessandro Scorzoni, artista di grandi qualità, padrone di tutti i procedimenti pittorici compreso il pastello, una tecnica che Chiarini finirà col prediligere.

Sancisce una solida amicizia con il concittadino Giovanni Romagnoli, sollecitato con altri pittori a giudicare la sua corposa opera grafica quando giunge a Bologna per frequentare l’Accademia. A questi si aggiungono altri protagonisti della cosiddetta “avanguardia moderata” bolognese, che accoglie , tra gli altri, Carlo Corsi, Alfredo Protti e Guglielmo Pizzirani.

Fra il 1908 e il 1911 abbandona completamente l’attività artistica per viaggiare dall’America del Sud alla Francia, a Parigi. Al rientro in Italia riprende a lavorare dedicandosi esclusivamente al pastello, una tecnica sotto certi aspetti “minore”, un po’ demodé, che gli lascia però ampi spazi di autonomia, fuori dal turbine delle correnti.

Pittore legato al secondo romanticismo, dimostra le sue qualità nella scelta delle luci e dei toni attenuati per rappresentare paesaggi e ambienti domestici in una sorta di minimalismo sentimentale, molto tenero e suggestivo.

Nel 1948 lascia definitivamente Bologna con la moglie e la figlia per ricongiungersi con il figlio abitante a Latte, frazione del comune di Ventimiglia. La sua pittura riceve il giusto riconoscimento, qualificato e importante, solo dopo la morte con la mostra faentina «dedicata al pittore concittadino Giuseppe Chiarini» alla Galleria del Voltone della Molinella nel 1965, presentato da Giovanni Romagnoli e Andrea Emiliani sul catalogo dell’Unione Tipografica Artigianale di Faenza e la grande antologica bolognese dell’anno successivo, presentata da Marcello Azzolini sul catalogo pubblicato da Edizioni Alfa.

Nella primavera del 1967 quattro pastelli di mano sua vengono presentati nella colossale esposizione “Arte moderna in Italia 1915-1935” a Palazzo Strozzi a Firenze. La mostra prende in considerazione la produzione di oltre 2mila opere dei protagonisti di un ventennio cruciale per movimenti e secessioni, cercando di recuperare gli “esclusi” spesso per ragioni mercantili, che Carlo Ludovico Ragghianti nella presentazione sul catalogo di Marchi e Bartoli Editori di Firenze, definisce «una stagione splendida dell’arte in Italia, per intensità e ricchezza di messaggi artistici e umani».

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