Mariangela Gualtieri (Cesena, 1951) in una sua poesia chiede di essere perdonata «se non ha guardato con la dovuta attenzione tutte le meraviglie quotidiane». La sua è una poesia che cerca gli altri per dare voce ai loro dolori, che lecca le ferite, che cura. Una poesia che non ha ambizioni se non quella di rimanere leggera, per esprimere così la sua potenza. Al pari della parola magica o della parola sacra. L’ultima raccolta di Gualtieri, considerata una delle voci più importanti della poesia contemporanea, è “Quando non morivo” (Einaudi, 2019).
Oggi, 21 marzo, è la Giornata mondiale della poesia. Che cosa significa per lei?
«Mi pare che in questo tempo senza riti, si tenti di inventarne di nuovi e comunque i “giorni dedicati’ sono un modo di accendere l’attenzione su qualcosa che in genere è trascurato, e di certo la poesia in questo mondo lo è».
Lei, poeta riconosciuta e conosciuta, come la celebra?
«Sarò in streaming in varie situazioni, prima e dopo il 21 marzo, in particolare su Radio 3, insieme ad altre poete e poeti con una poesia inedita su un verso di Dante, e al Circolo dei Lettori di Torino, un luogo che mi piace molto e che sarebbe bello avere in ogni città».
La poesia è un dono. Ha anche potere? E se sì, quale?
«Sì, penso, come ho detto più volte, che la poesia sia un dono e che l’attenzione sia un ingrediente fondamentale quando si è a ridosso della scrittura. La poesia ha potenze e nessun potere, e questo è il suo bello. Le sue potenze possono indurre a una trasformazione interiore, possono avere effetti esortativi, illuminanti, consolanti, e tanto altro. Ha le potenze della musica, perché è musica, quelle della parola magica, quelle della parola sacra».
Del 2020 è il libro “Tacete o maschi” e lei ha contributo alla realizzazione dell’opera insieme ad Antonella Anedda e Franca Mancinelli. Che esperienza è stata?
«Non conoscevo le Petrarchiste marchigiane, e scoprirle è stata una interessante sorpresa. Ho grandissima stima sia per Antonella che per Franca e mi ha fatto piacere essere in questa impresa con loro, e stimo anche i poeti marchigiani che hanno ideato questo progetto e dato vita alla casa editrice Argolibri. Mi hanno chiesto di mettermi in dialogo con Leonora Della Genga e un bel giorno, qui nella campagna in cui abito, ho scritto il poemetto/lettera contenuto nel libro. È arrivato così, come è pubblicato, in forma di lettera a questa poeta vissuta vari secoli prima di me».
Con “nove marzo 2020” ha portato la poesia sul palcoscenico della Mostra di Venezia.
«Quella poesia mi ha sorpresa quasi ogni giorno di pandemia, col suo giro del mondo. È stato curioso chiudere la
Biennale cinema e poi aprire la
Biennale teatro. In realtà avevo spettacolo a Bologna e quindi, non potendo essere a Venezia, ho registrato il mio intervento in albergo e l’ho visto solo qualche giorno dopo. Un’emozione in ritardo».
Qual è l’ambizione più alta per la poesia?
«Credo sia quella di non avere ambizioni. Certo è auspicabile che la poesia circoli quanto più e quanto meglio possibile, che abbia un pubblico sempre più vasto e attento, anche perché questo segnalerebbe una generale aumentata sensibilità. Quanto più la poesia se ne resta leggera, senza ambizioni e senza scopi, tanto più credo sia potente».
La poesia può trovare spazio anche sui social?
«L’ambito più adatto per la poesia secondo me è il teatro, lì dove viene data in forma orale e quindi carica della propria musicalità e ritmica e forza acustica, davanti a una coralità in ascolto. Ma qualunque ambito è adatto. Credo che la poesia non tema nulla perché se è tale è parola che non si logora, non si consuma».
Ormai da più di un anno viviamo un tempo nuovo, complesso, quasi senza prospettive. Lei con quale spirito vive le sue giornate, e per cosa lotta?
«Sto ben salda al presente, alla forza della stagione, coi suoi colori e frutti, con le sue sorprese e meraviglie. Sto in compagnia delle parole dei maestri e credo che questo sia il migliore allenamento per la lotta di cui lei parla, perché credo che se si indebolisce la nostra lingua, tutto si indebolisce. Cerco di stare collegata al dolore degli altri e di servirlo, quel dolore, con i versi che mi arrivano».
Lei vive in Romagna. Quanto la sua poesia è influenzata da questi luoghi? E che cos’è per lei la Romagna?
«Credo che il dialetto romagnolo, e soprattutto l’italiano sgangherato che parlavano i romagnoli abituati al dialetto, abbiano molto influenzato la mia lingua durante la mia infanzia. E certamente anche il paesaggio, fatto di colline e mare, rispecchia a volte il mio paesaggio interiore. Amo tantissimo la Romagna, ma mi sento abitante del pianeta e in questo senso sono casa ovunque – e quindi anche mi sento esule ovunque».
Che versi dedica ai nostri lettori in occasione della Giornata della poesia?
«Pochi versi di Mario Luzi: “Salute di parole! Salute di sole!” è il mio augurio».