Gino Stacchini: «Da Sivori a CR7, com’è cambiato il calcio...»

Calcio

A 85 anni dalla nascita, a 15 dalla morte. Il giocatore in questione è uno dei più forti della storia del calcio: Omar Sivori. Compagno per 8 stagioni di Gino Stacchini alla Juventus (dal 1957 al 1965), il sammaurese l’ha ricordato scrivendo la postfazione del libro di Andrea Bosco “Omar Sivori, l’angelo dalla faccia sporca” (Minerva editore). Tre gli scudetti vinti insieme con la maglia bianconera, «nessuno era in grado di fare con la palla ciò che riusciva Sivori», scrive Gino.

Stacchini, Andrea Bosco nel suo libro scrive che lei era uno dei pupilli di Sivori. Conferma?

«Sotto il profilo calcistico sì. Omar era un giocatore che amava giocare palla bassa, esaltava la tecnica, come attaccante gli piacevano le alchimie. Sivori non amava la palla alta, anche per via dei suoi centimetri. Io ero uno di quelli che riusciva a realizzare i suoi desideri, nello scambio e negli inserimenti».

Un aneddoto tra voi due?

«In un Inter-Juve siamo sotto di 2 reti, con uno scatto d’orgoglio pareggiamo e mio è il gol del 2-2. Poi il nostro portiere rilancia, prendo palla e in palleggio arrivo nei pressi dell’area, il pubblico applaude. Sivori, ingelosito, chiama la palla: per un minuto ce la siamo scambiata senza che i nerazzurri la toccassero».

È vero che la formazione la facevano Sivori e Boniperti?

«Erano i due capi occulti di quella squadra. A turno avevano ascendenza a seconda dell’allenatore che c’era. Per dire, con Cesarini era Sivori a dettare il canovaccio del gioco, con Monzeglio era Boniperti. È un po’ oggi quello che avviene con un giocatore come Cristiano Ronaldo: se vuole qualcuno in campo dubito che Pirlo non lo ascolti».

Sivori è il più grande giocatore con cui ha giocato?

«Per tecnica, estro e fantasia certamente. Come realizzatore e potenza dico Charles. Come movimento e sacrificio, Del Sol. Ogni calciatore ha una sua specificità in campo».

Il giocatore più forte che ha incontrato?

«Non ho dubbi: Di Stefano, incontrato con Real Madrid e nazionale. Era già moderno allora, un giocatore-squadra che sapeva fare tutto, destro e sinistro uguali, movimenti giusti, fisicità. Per me è stato più forte di Pelè».

Anno 1958: Sivori viene a San Mauro con la Juventus.

«Rientrava nell’accordo per il mio passaggio ai bianconeri. Adesso ai calciatori vanno milioni di euro, allora si metteva a contratto un’amichevole tra la Juve e una rappresentativa romagnola giocata a Rimini. Il passaggio della Juve a San Mauro fu un evento storico. Ricordo la cena all’allora Casa del Fascio, un tifoso interista lanciò un brindisi: “tifosi juventini si nasce”. Il cibo non era tanto in quel periodo, una bella mangiata valeva il cambio di casacca».

Le ha scritto: “Sivori è stata l’ultima grande barriera di un calcio estroso”.

«Dopo di lui il calcio è cambiato. Al fuoriclasse che scartava avversari è subentrato il gioco corale di squadra: ali che diventano tornanti, terzini che fluidificano e così via. Un mutamento di pelle la cui parola d’ordine oggi è equilibrio. Ma l’equilibrio lo rompe chi ha tecnica e classe, e giocatori così non ci sono più».

Meglio oggi o allora?

«Non voglio passare per nostalgico, però dico allora. L’estro, la fantasia, la classe venivano premiati dal pubblico. Oggi si applaude una chiusura o un fuorigioco ben fatto. Suvvia…».

Come vede il calcio romagnolo d’oggi?

«Segue l’andamento generale: se hai due lire fai una squadra discreta, sennò soffri. È sempre più difficile trovare persone disposte a spendere e a farlo bene. Mai mi sarei aspettato rivedere un Cesena in serie D e due fallimenti nel Rimini in pochi anni. Prendiamo la serie D: oggi c’è una mentalità quasi da professionisti. Come possono piccole società stare al passo a questi livelli?».

In chiusura?

«Chiudo con una metafora: il problema non è uno come Cristiano Ronaldo che prende milioni di euro, ma tanti semplici mediani che ne prendono pochi di meno».

Da calciatoreha vinto 4 scudetticon la Juventus

Quattro scudetti (1958, 1960, 1961 e 1967), tre coppe Italia (1959, 1960 e 1965), tredici campionati di serie A e sei presenze con tre reti in Nazionale. È il palmarès di Gino Stacchini, uno dei più illustri calciatori romagnoli.

Nato a San Mauro Pascoli nel 1938, figlio di un calzolaio, all’età di 16 anni si trasferì a Torino per entrare nel settore giovanile della Juventus dopo essere stato segnalato con una lettera da un certo Tosolini, tecnico della Sammaurese ed ex compagno di Virginio Rosetta (campione del mondo del 1934). Approdato in prima squadra, Stacchini giocò a fianco di campioni quali Boniperti, Charles e Sivori. Con l’oriundo italo-argentino si cimentava in sfide di palleggi con la pallina da ping-pong e condivideva il talento di grande dribblatore. Stacchini era un’ala sinistra scattante che con le sue finte di corpo lasciava sul posto il terzino. A fine carriera passò al Mantova e poi tornò in Romagna (1968) per concludere al Cesena (33 presenze e 2 reti). Si cimentò anche nei panni di allenatore e in seguito, per diletto, in quelli di poeta dialettale. Nel 2007 ha pubblicato la raccolta di poesie “Lo scatto dell’ala” dedicata ai vecchi compagni di squadra juventini. L’amico Sivori è ricordato come quello che “sa che sinéstra l’éra un maègh”.

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