Roberto Bolle toglie il balletto dalla patina stantia

Rimini

RAVENNA. Il trionfo della serata evento “Roberto Bolle & friends” a chiusura dell’estate di Ravenna festival, offre spunti di interesse sulla danza del presente.

L’étoile scaligera, ascesa nell’ultimo decennio in un olimpo globale, in concomitanza con il dilagare dei social, dimostra che oltre al personaggio c’è di più. Sta portando avanti un progetto di diffusione capillare della danza, con una costanza pari all’immutato rigore con cui, a 43 anni, affronta ancora classe, allenamenti, prove, dieta, sobrietà, per continuare a respirare sul palco della gioia della danza, in empatia col pubblico. Nel ricercare coreografie “giuste” per la sua maturità artistica e fisica, progetta allo stesso tempo lavori capaci di interessare la gente, togliendo il balletto dalla patina stantia, rinvigorendolo in modo accattivante. I nove pezzi presentati a Ravenna sono stati scelti con mestiere e progettualità da direttore artistico di compagnia, per coinvolgere anche il pubblico più ignaro di danza (presente pure una buona fetta maschile). Passi a due e a tre pensati per offrire una ribalta a nuovi talenti, cercando di formare il gusto a una danza più contemporanea ma accessibile. Così i passi a due “Caravaggio” di Mauro Bigonzetti e l’armonia geometrica di “Step addition” di Sébastien Galtier danzati con la prima ballerina della Scala, Nicoletta Manni. Coreografie che esaltano intrecci di movimenti estetici e purezza di linee; altrettanto alcuni danzati al maschile, in “Canone D major” la melodia barocca di Pachelbel viene rigiocata a tre nella coreografia di Jiři Bubeníček. Aggiunge chicche d’autore poco viste, come “Pas de deux da Proust, ou les intermittences du coeur” di Roland Petit; raffinato, delicato, introspettivo. Concede al virtuosismo della tradizione, con estratti da "Il Corsaro", da "Schiaccianoci" e "Don Chisciotte", dove fa conoscere il carisma del cubano Osiel Gouneo.

Ma è con il “Dorian Gray” finale, pezzo pop intenso e ruffiano, che ammalia e travolge, confermando la sua anima progettuale e artistica 4.0. Con il coreografo Massimiliano Volpini, quello di “Prototype”, punta ancora sulla carta multimediale. Danza un solo che di fatto è un passo a due con il potente violino live di Alessandro Quarta, musicista che si è proposto per lavorare con Bolle, a conferma del fascino che il danzatore sta suscitando anche fra artisti diversi. Volpini ha costruito un pezzo congeniale all’étoile, con ausilio di effetti e proiezioni virtuali, a partire dal romanzo di Oscar Wilde. Al posto del ritratto pittorico, Dorian si lascia riprendere dalla videocamera del telefonino, Il selfie come emblema di questo presente. «Sono lieto del successo che la coreografia sta riscuotendo – fa sapere Max Volpini –. Dopo il successo di "Prototype" era difficile realizzare qualcosa di diverso, ma di altrettanto efficace. L’incontro con il violinista Quarta ci ha procurato lo spunto giusto».

Fra gli “amici” di Bolle anche giovani italiani interessanti. È piaciuto in particolare Angelo Greco di origine sarda, classe 1995, in forza al San Francisco Ballet, personalità e comunicativa.

Prima italiana di “A letter to my nephew”

Una danza anche politica, manifesto di un presente drammatico, ha accompagnato il ritorno italiano della Bill T. Jones Company di New York; la prima italiana “A letter to my nephew” è stata presentata solo a Ravenna. Il pretesto dell’ascesa e caduta del nipote del coreografo, passato da sfilate di moda e discoteca alla sedia a rotelle dopo droga e Aids, diviene occasione per il 66enne Bill T. Jones di una riflessione esistenziale su un presente dai molti interrogativi. Alcuni vengono presentati con parole che scorrono a mo’ di cartolina, anche su di un pannello-francobollo spostato dai danzatori. Le frasi si legano a ogni diversa località in cui lo spettacolo va in scena. «Sono a Ravenna, è estate, il cibo, il vino, i mosaici…sono confuso…sono un migrante?...».

I danzatori riassumono la vicenda del nipote con movimenti morbidi e acrobatici, in un ondeggiare tra coralità, soli, passi a due, si esprimono con fusione di stili contemporanei, house, street, rap, hip hop voguing. La musica scorre dal vivo, mentre il canto baritonale di Matthew Gamble sottolinea la drammaturgia. La danza, diversa e uniforme nel contempo, le geometrie spaziali, la coesione dei nove diversissimi ballerini, è il “corpus” più centrato di questa “Lettera”, più difficile da cogliere nelle riflessioni verbali scritte.

Un Mario Martone che non ti aspetti è l’anima di “Tango glaciale reloaded” un lavoro del 1982 riportato sulla ribalta dallo zelo della critica Marinella Guatterini per il Progetto Ric.Ci, una riscoperta della danza italiana del passato prossimo. Creato con il gruppo napoletano Falso Movimento da un Martone 22enne, "Tango glaciale" a Ravenna è tornato a vibrare della sua prorompente energia; scena colorata, un appartamento che si tramuta e viene travolto con uso di proiezioni, una follia disegnata a fumetti. Un’idea di teatro che guardava alla multidisciplinarietà in tempi non sospetti, sfrenatamente audace, espresso all’Alighieri dalla fresca carica energica di Josef Gjura e Giulia Odetto, neodiplomati alla Paolo Grassi, e da Filippo Porro.

Più narrativo “Erodiade-Fame di vento” ispirato al testo di Mallarmé, altra proposta del Ric.Ci su coreografia di Julie Ann Anzilotti. Rivede la storia di San Giovanni Battista attraverso la figura di Erodiade, movimenti e costumi eleganti, capelli “evocativi”.

Il ritorno di Emio Greco

Un altro ritorno al festival è stato quello dell’italiano Emio Greco, da venticinque anni emigrato in Olanda dove ha fondato il gruppo Ick, e direttore dal 2014 del Balletto nazionale di Marsiglia. “Apparizione” in prima italiana, realizzato con Pieter C. Scholten, sceglie come punto di partenza “I canti dei bambini morti” composti da Gustav Mahler, a partire da cinque poesie di Friedrich Rückert. I brani cantati dal vivo da dodici adolescenti che interagiscono coi danzatori fungono da ricercato ordito di un lavoro raffinato, nello stile visionario e multimediale caro a Greco. Ogni canto in lingua tedesca evoca paesaggi sonori e movimenti che conducono da un limbo a uno spazio cosmico. I sette danzatori prima si pongono al servizio dei cantori, poi nel finale, si esprimono con coreografie costruite su di loro. La tipologia di questo lavoro raffinato e “di nicchia” rende la misura delle svariate possibilità creative offerte dal Centro di produzione di Marsiglia; una progettualità vasta, continua, diversificata, una ricerca contemporanea che si alimenta continuamente.

Claudia Rocchi

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