Gabriele Lavia a Imola in “Il berretto a sonagli”

Mostro sacro non è l’appellativo che preferisce, ma senz’altro Gabriele Lavia (1942) è uno degli ultimi grandi attori del palcoscenico italiano, di vecchia scuola e di antichi maestri, da Orazio Costa a Giorgio Strehler. Da stasera alle 21 a domenica 12 febbraio ore 15.30 (con doppia recita sabato 7 alle 15.30 e 21), Gabriele Lavia torna protagonista al teatro Stignani di Imola ne Il berretto a sonagli di Pirandello, come regista e interprete nel ruolo dello scrivano Ciampa. Con lui altri sette interpreti fra cui Federica Di Martino (Beatrice Fiorica), pure moglie nella vita, oltre a Francesco Bonomo, Matilde Piana, Maribella Piana, Mario Pietramala, Giovanna Guida, Beatrice Ceccherini.

La vicenda racconta di un fatto di corna. La signora Beatrice Fiorica, gelosa e offesa, vuole denunciare il tradimento subito da suo marito, il cavalier Fiorica, amante di Nina, la giovane moglie del suo scrivano Ciampa. Quest’ultimo, anziano e consapevole dei fatti, al contrario di Beatrice si preoccupa solo della sua “rispettabilità” e non vuole che la notizia diventi pubblica. Cerca di persuadere la signora Fiorica a non farne denuncia al delegato Spanò invitandola a girare la corda “seria”, quella che fa ragionare, ma invano. Beatrice dirà la verità ma non verrà creduta, anzi verrà ricoverata perché giudicata pazza.

Lavia, dopo avere portato in scena una trilogia pirandelliana (i “Sei personaggi”, “L’uomo dal fiore in bocca”, “I giganti della montagna”) perché un altro Pirandello? Voleva misurarsi nel ruolo di Ciampa, o ha ritenuto che il “Berretto” abbia ancora qualcosa da dire?

«Più semplicemente mi è capitata tra le mani un’edizione critica del Berretto nella versione siciliana che è quella originale, e una nella versione italiana scritta dopo. Ho fatto un “pasticcio”, le ho mescolate con metodo e ne è uscito uno spettacolo che, per dirla con Goldoni, “ha incontrato il favore degli spettatori”. Ormai stiamo per chiudere l’avventura».

In questo suo gustoso “pasticcio” di contaminazione emergono nuovi spunti del testo pirandelliano?

«Trovo che l’edizione siciliana sia di gran lunga superiore alla versione italiana; perché la lingua italiana è scritta, non parlata, nasce dalla Divina Commedia. La lingua siciliana invece è parlata e, come tutti i dialetti, risulta più forte di un italiano, più complicato da recitare. Così in questa mescolanza faccio sì che i protagonisti borghesi parlino l’italiano e i personaggi popolari parlino il siciliano. Quelli a metà, come potrebbe essere il nostro scrivano Ciampa, parlano un po’ così e cosà. Sono andato a istinto, a sentimento, anche a caso, ma assecondando Diderot quando diceva: “c’è sempre una necessità nel caso”. È un caso, questo Berretto, da me molto studiato e lavorato; la formazione del copione definitivo mi è costata fatica e studio».

È uno spettacolo che si riallaccia alla Sicilia che ha nel sangue.

«Considero la Sicilia uno dei centri della nostra nazione; vi sono stati i Greci, i Normanni, culture importanti si sono scontrate, sono scoppiate in Sicilia. Non è un caso che ogni anno a Siracusa si fa il teatro greco. Al di là dell’evento turistico, c’è una ragione più profonda che appartiene alla terra, alla storia, che non si può eliminare. Noi pensiamo che tutto venga deciso da noi stessi, ma la storia è molto più forte dell’uomo».

Veniamo al succo del “Berretto”; Beatrice Fiorica dicendo la verità viene accusata di pazzia ed emarginata; Ciampa, usando le corde “seria” e “civile”, si salva pure nella ipocrisia; la protagonista femminile subisce violenza, pure sola ad avere ragione. Perché?

«Ciampa si barcamena astutamente, è un personaggio negativo. L’unico personaggio positivo è Beatrice che vuole portare avanti il suo concetto di verità. Che, banalmente, è l’essere cornuto; ma in quel paradigma simbolico della Sicilia, la verità o non verità delle corna diventa filosofia. Perché il discorso sulla verità dell’essere è sempre filosofico. Pirandello è un filosofo che mette in scena la verità e la non verità. Nella società corrotta piccolo-borghese la verità non è il vero, ma è quella cosa che tutti dicono essere la verità».

Insomma, la donna portatrice di verità viene offesa ed emarginata.

«Ciampa la avverte: “per essere pazza basta la verità”. La donna viene discriminata come pazza da una società maschile; Pirandello compie un gesto di grande rivoluzione. L’aveva già fatto scrivendo una meravigliosa critica al romanzo Una donna di Sibilla Aleramo che in tanti avevano biasimato».

Più volte ha ripetuto che il teatro non interessa che a pochissimi, eppure il palco è sempre vivo.

«Il teatro non morirà perché, bisogna pure dirlo, il pensiero nasce lì. Il problema è che ci sono pochi attori bravi e registi ancora meno, ma succede perché è molto difficile. Così come è difficile scrivere testi per il teatro, credo che la nostra epoca sia disadatta perché la forma di scrittura drammaturgica è stata contaminata da un realismo cinematografico-televisivo e fatica a recuperare un linguaggio autonomo. Del resto non c’è riuscito Tolstoj a scrivere per il teatro, e neppure Dostoevskij! Avrebbe scritto meraviglie».

Info: 0542 602600

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