Gabriele Bombardini presenta il suo nuovo album "Premilcuore"

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Si intitola Premilcuore il quinto album solista del chitarrista e docente di chitarra ravennate Gabriele Bombardini, pubblicato da Blooms recordings in digitale e Cd. Si tratta di un disco interamente strumentale, composto da sedici brevi episodi dal suono intimo e minimale, ispirati all’infanzia dell’autore.

È un po’ come sfogliare l’album di fotografie di famiglia – ci racconta Bombardini – , alcune in bianco e nero, alcune sbiadite. Sono tornato alla mia infanzia e ne ho sonorizzato i ricordi».

Oltre al gioco di parole sul cuore, il titolo si riferisce anche al paese collinare romagnolo? Lei ha origini lì?

«Mia madre è nata a Premilcuore, e questo termine si presta a molte interpretazioni».

«Sarebbe bello. Non ci avevo pensato, ma cercherò di parlare con qualche amministratore del paese (ride, Ndr.). Al momento l’idea è di presentarlo in primavera nel giardino della mia casa-studio, come ho fatto per il disco precedente».

Questo è l’album meno jazz della sua discografia.

«Se intendiamo il jazz come musica legata allo swing o all’improvvisazione è vero, ma l’approccio mentale che ho maturato in questi anni è jazz, anche in questo disco. C’è poca improvvisazione, ma il magma sonoro dell’album è jazz; mi piace pensare che il jazz che amo, studio e insegno, faccia sempre parte di me. Anche nei miei episodi più elettronici del passato, l’approccio era sempre jazz».

Essendo un album molto intimo, è frutto della segregazione degli ultimi anni, come per molti altri artisti?

«È una domanda che mi hanno fatto in tanti, e che mi sono fatto io stesso. La risposta è che probabilmente quello ha inciso a livello inconscio, ma io mi chiudevo in studio da solo anche prima, e lo farò anche in futuro, come forma di salvezza dal mondo reale. L’aspetto predominante non è quello, però; si tratta più di un ritorno al passato, all’infanzia, per chiudere un percorso, la classica chiusura del cerchio, che però spero rimanga aperto ancora a lungo».

Stilisticamente come lo definirebbe?

«Ho lavorato in sottrazione, cercando di suonare meno, o, meglio, far suonare il silenzio. Detto questo, direi che stilisticamente è una somma di tutto quel che ho fatto in passato».

Nella sua carriera ha avuto molte esperienze, in progetti e gruppi diversi, ma negli ultimi lavori, come in “Premilcuore”, è solo. Significa che si presenterà come solista, anche dal vivo, o in futuro potrebbe tornare in una band stabile?

«Mi piace collaborare con gli altri, e non escludo di farlo in futuro se trovo un progetto che mi stimola. Al momento proseguo la ormai venticinquennale collaborazione con Luisa Cottifogli, con cui suono dal vivo e della quale ho prodotto e inciso tre album, ed in futuro probabilmente allargheremo il gruppo con il polistrumentista Gianni Pirollo, con cui abbiamo già fatto delle cose. Abbiamo un’idea di un progetto legato all’acqua, ma è ancora da definire. Mi piace anche lavorare solo, perché favorisce l’introspezione, poi è più facile litigare solo con sé stessi, che con altri».

Visto che in questa fase è solo con la sua chitarra, anzi con le sue chitarre, che rapporto ha con questo strumento che imbraccia da decenni?

«Amo la chitarra, la studio e la insegno, però la considero un mezzo, niente di più. Quando ho avuto l’occasione di lavorare con l’elettronica l’ho fatto. Quello che conta è il suono che voglio ottenere. Non ho un rapporto con lo strumento, ma con il suono. Ad esempio non mi interessa avere un particolare modello di chitarra, spesso molto costoso. Ho trovato suoni interessanti con una vecchia chitarra comprata in un mercatino a duecento euro che probabilmente la maggior parte dei chitarristi non guarderebbero nemmeno».

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