Fregni. La prospettiva di chi si innamora del mare

Editoriali

Chi s’innamora del mare acquista un’altra prospettiva. Il mare infatti non è la spiaggia, il bagnasciuga, la prima e la seconda “secca”, che più o meno tutti conosciamo da quando siamo nati. Il mare è lo spazio aperto, infinito e profondo, che si apre davanti a noi.
Questo spazio diventa anche sentimento: “Esultanza è andare / di un’anima di terra verso il mare / (…) Nella profonda Eternità (…) La divina ebbrezza / della prima lega al largo (…)”. (Emily Dickinson - J76).

Per comprendere alcune città e la loro potenza, che ha dato vita ad imperi, è necessario arrivarci dal mare, vale per Venezia, San Francisco, New York… La Cina è diventata in pochi decenni la prima potenza economica mondiale “riscoprendo” il mare.
A Rimini questa visione “di mare” è minoritaria. È una città di spiaggia, di bagnasciuga. E del resto diverse analisi ci dicono che, da tempo, è una città sul mare gestita da persone di origine contadina. Non è un giudizio di valore, nessuno vuol offendere i “rurali”, che meritano sommo e spengleriano rispetto essendo i custodi della tradizione. È un dato di fatto.
Basti pensare ad alcune peculiarità di Rimini per rendersene conto: gli alberghi e gli hotel della prima linea hanno l’entrata principale rivolta a terra, il contrario di ciò che avviene in gran parte d’Europa; la spiaggia è stata curata in maniera ammirevole ed amorevole; il mare, troppo spesso, nel passato, è stato abbandonato a ruolo di silenziosa discarica dove diluire le intime necessità di un turismo di massa.
Fortunatamente questa mentalità negli ultimi anni è cambiata. C’è più rispetto per il mare e questo si riflette in iniziative pubbliche e private.
Ma servirebbe un ulteriore salto in avanti: capire che il mare è una componente essenziale del futuro di questa città e di tutta la Romagna. Bisogna guardare “avanti” e non “dietro”.
Il “dietro” è già tutto esplorato, è di commovente bellezza e va tutelato e valorizzato. L’“avanti” può regalarci sviluppo e opportunità di crescita, economica e culturale.
Il dibattito sulla possibilità di un campo eolico al largo di Rimini risente di questa mentalità slegata dal mare e di discorsi - non “da bar” - ma “da ombrellone”. Con effetti contraddittori e paradossali.
Alcuni esempi banali: non tutti sanno che il faro di Rimini, strumento necessario per la navigazione - più un tempo che ora, in epoca di gps -, è “coperto” da edifici, depotenziato da un bagliore incessante e, negli ultimi anni, “sostituito” da un’enorme ruota che ogni anno si leva come un grattacielo a pochi metri dalla spiaggia.
E nei decenni appena una minoranza si è fatta scrupolo di un’edificazione selvaggia – purtroppo diventata parola registrata dai dizionari - che fa piangere il cuore a chi atterra a Rimini dal mare.
Del resto è normale che sia così, la stragrande maggioranza delle persone vive sulla terra, e il “mare” è spesso relegato alle ore di svago, quando con l’acqua alle ginocchia si guarda la “linea lunga e blu” dell’orizzonte (in realtà il suo colore varia spesso), sognando qualcosa che non si conosce e di cui si ignorano le potenzialità.
Rimini non può più stare con l’acqua alle ginocchia, deve immergersi e affrontare il suo mare, a iniziare dalla questione dell’eolico: il mare e vento ci possono fornire energia pulita e rinnovabile.
E per intraprendere un progetto del genere è necessario un profondo e informato dibattito nella comunità. L’unica cosa da evitare è il “si fa e basta” o il “non si fa e basta”.
Ci sono diversi aspetti devono essere analizzati con chiarezza:
a) un’azienda che si propone per un progetto del genere (con un valore di oltre un miliardo di euro, il più imponente mai presentato a Rimini) deve fornire tutte le garanzie necessarie perché la comunità sia certa che non si tratti di un “bidone” sul mare. Anche perché il progetto rientra pienamente nel perimetro del Recovery Fund/Green New Deal e servirebbero garanzie doppie.
b) Gli studi sul vento devono essere certosini, per capire se l’intensità supera la media annuale (almeno sei metri al secondo), necessaria per la fattibilità del progetto. E tenendo presente che parliamo sempre e comunque di previsioni, essendo il vento influenzato da numerose variabili.
c) Il posizionamento del campo deve essere pensato in maniera tale da impattare il meno possibile sull’orizzonte, anche se questo aumenta i costi d’installazione e manutenzione, trovando un utile compromesso tra funzionalità, efficienza e paesaggio.

d) Il territorio che si accolla questo “sacrificio” deve avere un “beneficio”, un ritorno in termini di utilizzo e costo (inferiore) di questa energia, di occupazione ecc. ecc. Un beneficio che deve riguardare anche chi è più direttamente colpito, ad esempio i pescatori.

Sulla base di queste considerazioni va deciso il “sì” o il “no”, non sulla base dell’ideologia. Rimini è una città pragmatica, ha saputo risollevarsi dalle macerie con sacrificio e tanta inventiva. Ha conosciuto le sue più belle esperienze quando ha saputo essere visionaria. La città, da cui parte la strada che ha portato la civiltà nel mondo, riscopre ogni volta sé stessa, la sua autenticità, quando ricostruisce, in ogni direzione – reale e metaforica - quella strada. Parafrasando un grande: diamo il meglio di noi quando capiamo che dalla via Emilia si arriva al West; cioè quando, partendo dalla realtà, realizziamo un sogno.
*giornalista

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