Forlì, freddo e green pass fanno paura: nei ristoranti asporto in crescita

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L’arrivo dell’inverno fa tremare chi non è provvisto di green pass e insieme a loro i ristoratori, costretti a guardare battere i denti i clienti che non hanno il permesso di gustarsi il piatto al calduccio. Anche a Forlì nonostante l’altissima percentuale di vaccinati, la più alta in Romagna, la combinazione tra green pass e clima autunnale si sta rivelando fonte di preoccupazione. «Se non si studiano soluzioni che permettano a chi non ha il green pass di mangiare in sale riservate o con porte e finestre aperte - ammonisce Gianluca Pini, titolare dei ristoranti Don Abbondio e Ruggine - stimiamo perdite del 30 o del 35%». Il ristoratore forlivese dà atto inoltre dell’aumento di richieste di «pranzi e cene da consumare a casa». «Erano mesi che non capitava - chiarisce - ma evidentemente se in un gruppo c’è qualcuno senza green pass si preferisce organizzare la serata che si sarebbe passata al ristorante tra le mura di casa. Spesso sono ordini per quattro o sei persone, a volte destinati anche agli uffici». Avventori che chiedono di mangiare fuori (o che fanno ordinazioni da asporto) sono ancora «tanti, nonostate il freddo» anche nei fast food della catena Mc Donad’s gestiti da Andrea Zocca. «Alcuni vanno fuori e poi ci chiedono di entrare perché hanno freddo - scherza l’imprenditore». «La curva di chi non ha il gree pass è in calo - precisa - ma in calo lento». I più irriducibili, in base ai controlli fatti giornalmente su centinaia di avventori, «sono gli over 30. Pochissimi i giovani senza green pass». Anche Andrea Calmanti, titolare del ristorante La sosta, dice di aver notato la presenza di clienti che nonostante le temperature non più miti perserverano nel mangiare all’esterno. «Per fortuna l’anno scorso avevo allestito un dehors che oggi posso sfruttare come zona esterna, capace di offrire riparo e calore ai clienti. Certo che quando ci saranno meno di 10 gradi ...».

Dipendenti

Dal punto di vista dei dipendenti, invece, Pini afferma di avere «pochissimi casi» di camerieri o cuochi che non hanno risposto all’obbligo vaccinale. «Mi hanno detto che si faranno diligentemente il tampone - aggiunge. - Per ora non glielo paghiamo, poi vedremo eventualmente se lo stato d’emergenza dovesse perdurare oltre il 31 gennaio». Più radicale è invece Zocca, oltre che ristoratore, presidente di Fipe Confcommercio. «A chi non è vaccinato non lo pago per principio», dichiara, chiarendo che su circa 80 dipendenti a non aver ricevuto la doppia iniezione di vaccino è una percentuale compresa tra il 5 e il 10%. «Preferisco avere un dipendente in meno che pagare l’ignoranza, nel senso lato del termine. È un rischio che si accolla chi andrà avanti a forza di tamponi». «Alcuni - aggiunge il presidente di Fipe - mi hanno detto che preferivano stare a casa senza stipendio che farsi il vaccino. È una loro legittima scelta». Decisioni che, riconosce, hanno un peso relativo se si tratta di grandi aziende con tanti dipendenti, ma che hanno un impatto molto più pesante su realtà di piccole e medie dimensioni: «Se su cinque lavoratori due non hanno il green pass la storia è diversa». Andrea Calmanti de La Sosta può dire invece bypassato il problema: «I miei dipendenti sono tutti vaccinati».

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