Francesco Baracca: deludente la fiction Rai sull'eroe di Lugo

Sprizza retorica da tutti i pori Il cacciatore dei cieli, la docufiction Rai che celebra in un colpo solo i 100 anni dell’Aeronautica militare e quel mitico romagnolo, Francesco Baracca, la cui casa natale, a Lugo di Romagna, è da sempre meta di gite scolastiche. Cosa si è imparato di più allora dalla visione in prima serata Rai 1 della docufiction diretta da Mario Vitale, con il popolare Beppe Fiorello nel ruolo del pilota lughese? Poco.

Il giorno dopo la messa in onda, produzione (Anele, Luce Cinecittà, in collaborazione con Rai Documentari) e Aeronautica plaudono al successo per i 3 milioni e mezzo di spettatori (3.447.333) pari a uno share del 18,33. Così anche l’assessore regionale Mauro Felicori, che ieri è andato a Lugo per valutare come mettere a profitto questa improvvisa notorietà.

Purtroppo l’eroe Baracca targato Rai appare un fumoso, stereotipato e noioso personaggio. Da prendere così, in chiave intrattenimento prime time, a oltre un secolo dalla morte avvenuta il 19 giugno 1918 durante un’azione di mitragliamento in provincia di Treviso. E va bene anche – in linea con il prodotto cine-televisivo oggi in voga – l’ibridazione fiction e documentario, con le interviste ricostruite (gli attori che parlano come se fossero intervistati oggi), gli inserti di animazione (pregevole), i filmati d’epoca. Ma a che pro se il risultato è un’ora e mezza di soporifero romanzetto nazional-popolare? Quanto a Beppe Fiorello, meglio seguirlo in questi giorni nel suo esordio alla regia cinematografica: con il suo Stranizza d’amuri sarà domani tra l’altro a Reggio Emilia (Rosebud) e Bologna (Odeon e Bellinzona).

Il tentativo di raccontare l’asso dei cieli tramandatoci dalla retorica dell’Italia monarchica e in guerra, bisognosa di annacquare con il racconto delle imprese record del pilota le disfatte sul fronte (Caporetto), ha peraltro ben più di un aspetto irritante visto sulla tv generalista. Il nostro cacciatore dei cieli ci appare nella prima parte del film eroe che ha sprezzo del pericolo, che ama il rischio e le acrobazie. Uno che per pura sfida con se stesso decide di planare sotto un ponte di Parigi con margine di non più di un metro di apertura: come lo distinguiamo dalla gioventù nostrana che sfida i propri limiti con prove alla Mission: impossible?

L’eroe Baracca mette poi tutti i valori da maschio italico in bella mostra (non a caso sarà mitizzato dal fascismo): la famiglia – ama mamma e papà con giusto trasporto –, la patria. All’imponderabile e alla morte risponde con linguaggio futurista: «Tra le fiamme dell’inferno porto con me una pistola d’ordinanza». Quella pistola che forse usò o forse no prima di cadere al suolo con il suo aereo abbattuto. Ma ha un sapore quasi nichilista quanto sentiamo proferire dall’eroe in caduta poco prima dello schianto: «Così, appeso al nulla, come in un salto che non finisce mai». Un personaggio, insomma, che sembra assecondare più il demone della morte che dell’amore, nonostante l’emergere di un lato umano che gli fa esprimere condanna per l’orrore della guerra. Che irritante allora quel suo spirito di sacrificio, quell’andare consapevole alla morte preferito all’amor romantico con la bella cantante lirica Norina Cristofoli. «Non sono un tipo da famiglia», dirà del resto all’amico e collaboratore Bartolomeo (personaggio fittizio). Naturale, per uno di cui si diceva: «Di giorno dà la caccia agli austriaci e di notte alle friulane». Ma il suo spirito indomito, la patria, l’onore, la gloria, lo chiamano. E pazienza se la sua amata dovrà piangerlo per l’intera sua vita, fedele per sempre a quell’amore schiantatosi troppo presto per non diventare mito. Mito di ieri. Mito di oggi?

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