Fotografia, Saro Di Bartolo in mostra al museo di Rimini

Viaggiare nella bellezza del mondo, per scoprirne anche le enormi contraddizioni. Si può fare visitando la mostra “Saro Di Bartolo. Anthology, 50 anni di fotografia, 1972-2022” che sarà inaugurata questo pomeriggio dalle 17 all’ala nuova del Museo della Città. È un progetto ideato e promosso a sostegno dei programmi di ricerca della Fondazione Isal ricerca sul dolore.

Fino al 29 gennaio il fotografo riminese racconterà la propria evoluzione artistica nell’arco di cinque decenni in circa 400 opere tratte da reportage in varie parti del mondo e altre ideazioni creative. Immagini che hanno fatto parte di esposizioni di notevole successo in decine e decine di location in Italia e all’estero. Si va da “Bangladesh, un viaggio indietro nel tempo” a “Ghost towns, città minerarie fantasma”, da “Good morning Vietnam” a “Burma life, quadri di vita” fino a “Face of innocence” su progetto della “Besharat arts foundation” di Atlanta, che ha permesso l’allestimento di decine di mostre permanenti donate alle scuole italiane, e in esposizione fino al 31 dicembre alla Pinacoteca San Francesco di San Marino.

Una parte delle mostre di quest’ultimo progetto vede le opere di Di Bartolo esposte contestualmente a quelle di Steve McCurry.

«Personalmente – dice Di Bartolo – ho iniziato a fotografare quando avevo appena 12 anni e da allora il mio amore per le immagini l’ho vissuto sempre in crescendo. L’idea che bambini e ragazzini aventi la stessa età in cui io ho iniziato a scattare possano venire in contatto con opere realizzate da me e i miei colleghi mi regala orgoglioso. In questo caso si tratta di fotografi che riprendono il mondo dell’infanzia in varie parti del mondo».

Come si impara viaggiando che esiste un diritto universale alla cura del dolore e della sofferenza?

«Si apprende nel quotidiano del guardare gli occhi delle persone che devono subire di fare lavori non più proponibile in occidente ove è sempre in agguato un rischio per l’integrità del loro corpo, vedendo le mutilazione che offendono il loro diritto di salute che non è un diritto solo dell’Occidente. Quei lavori quei corpi nascondono nel silenzio il dolore inespresso e le sofferenze vissute a cui nessuno dà ascolto e cura. Riteniamo sia importante mentre esploriamo il viaggio fotografico nel mondo della loro bellezza dai paesaggi ai costumi illuminare quei volti per vederne la profondità del cuore e le ferite della vita non dimenticare che ad ogni bambino, donna e uomo deve essere riservato il pari diritto a non vivere nel dolore fisico e nella sofferenza senza una speranza di lenimento. La Fondazione Isal da più di trent’anni opera in Italia in Europa per sensibilizzare le istituzioni e la popolazione alla prevenzione e cura del dolore cronico».

Quale significato ha voluto dare alla mostra “Sisters. Siamo tutte sorelle”?

«Più si viaggia per il mondo e più si percepiscono, oltre la disparità tra i sessi, pure le immense differenze tra le condizioni di vita delle donne: benessere/povertà, salute/malattia, giustiziaa/ingiustizia, gioia/tristezza. Troppo spesso infatti la vita delle donne è sofferenza e a prevalere sono la prepotenza sull’amore, la miseria sulla ricchezza. La liberazione femminile passa attraverso l’acquisizione di strumenti per valutare e vivere il mondo e indipendenza e progresso si alimentano tramite una rete di solidarietà tra donne che supera i confini delle nazioni. Secondo la religione della sorellanza, tutte le donne sono sorelle e tutte le sorelle sono fiori diversi dello stesso giardino. Questo bouquet di fiori, composto da trenta immagini, si propone di celebrare la femminilità, presentando la figura femminile nei più diversi contesti e le più svariate condizioni umane. È una mostra eterogenea, che desidera, esprimendosi attraverso situazioni diversissime, lanciare un messaggio di coraggio e fierezza».

Ogni venerdì, sabato e domenica dal 26 novembre al 29 gennaio con ingresso libero 10-12,16-19

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