Fotografia, Saro Di Bartolo a Montescudo e poi Santarcangelo

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Approda in Romagna, prima a Montescudo e successivamente a Santarcangelo (dal 9 aprile), Rimini e Savignano, a cura del noto fotoreporter riminese Saro Di Bartolo, il progetto “Art in schools”. Inaugurazione il 2 aprile alle 16, alla presenza di una rappresentanza dell’Amministrazione comunale montescudese e di una piccola delegazione di alunni e docenti, della mostra “Faces of innocence”, che sarà esposta in permanenza nei locali della scuola primaria Rosaspina.

L’iniziativa fa parte di una serie di donazioni di immagini di grande formato, destinate a 240 scuole nel mondo, da parte del mecenate americano Massoud Besharat e della Besharat Arts Foundation di Atlanta, con lo scopo di sensibilizzare alla cultura dell’altro, tramite immagini che mostrano volti ed etnie, popoli, costumi, territori differenti e molto distanti da noi, ma che hanno un “filo comune” che li lega e che deve favorire la comprensione e la pacifica coesistenza.

L’iniziativa vede la collaborazione, a titolo totalmente gratuito, di artisti di fama internazionale che hanno donato in permanenza alle scuole immagini in grande formato per essere installate in location che, per caratteristiche di spazio e luce, sono idonee a valorizzare adeguatamente la bellezza delle opere regalate. A tutt’oggi, l’iniziativa ha coinvolto 235 scuole a cui sono state donate 15.444 opere.

Le opere che giungono in Romagna sono opera di nomi celebri di reporter come il neozelandese Simon Lister, brand photographer ufficiale Unicef dal 2016, protagonista insieme all’attore Orlando Bloom su Netflix della serie “Tales of light” in cui si occupa dei bambini a rischio; il tedesco Hartmut Schwarzbach, autore di immagini anche per Der Spiegel e Bild, nonché due volte vincitore del premio “Foto dell’anno Unicef”; l’australiano David Lazar, fotografia di viaggio e collaboratore di testate quali National Geographic e Lonely Planet, noto per i suoi potenti ritratti di bambini.

Di Bartolo, che cosa significa portare questi capolavori della fotografia nelle scuole della Romagna?

«Ho iniziato a fotografare quando avevo appena 12 anni e da allora il mio amore per le immagini l’ho vissuto sempre in crescendo. L’idea che bambini e ragazzini aventi la stessa età in cui io ho iniziato a scattare possano venire in contatto con opere realizzate da me e i miei colleghi mi regala orgoglio. In questo caso si tratta di fotografi che riprendono il mondo dell’infanzia loro coetanei in altre parti del mondo».

Quali caratteristiche hanno le opere donate?

«Come accennato, i soggetti degli scatti sono bambini e prevalente dei piccoli che vivono situazioni di disagio, spesso estremo. I volti dei piccoli raffigurati nelle foto sono i più diversi: a volte sorridenti, altre volte volti di sorpresa, stupore, pure sguardi che sembrano fissare il vuoto. Complessivamente, nonostante la vita povera e priva di prospettive che vivono, quei bambini, come tutti i piccoli del mondo, molto spesso sono capaci di sorprenderci ridendo».

Qual è l’importanza di stimolare un’educazione alla visione anche tramite opere come queste di grandi fotografi?

«Il nostro metodo è semplice. Sotto forma di immagini di bambini da tutto il mondo, in questo caso opere di fotografi ben noti, portiamo l’arte nelle scuole nella speranza che il contatto quotidiano con la bellezza stimolante aiuti i bambini ad acquisire un livello più profondo di comprensione ed empatia verso il prossimo e la capacità di comprendere i sentimenti degli altri è fondamentale per i futuri custodi del nostro pianeta e di tutta la vita su di esso».

Con quale risultato didattico?

«Le nostre donazioni, oltre che all’estero, sono già presenti, a volte pure da tempo, in altre aree d’Italia. A tale proposito è assai interessante e spesso sorprendente la quantità di materiali realizzati dagli allievi delle scuole dove le foto sono esposte. Ciò naturalmente si deve all’entusiasmo delle maestre che dedicano molto impegno nell’inventare attività didattiche innovative legate agli stimoli derivanti dalla presenza delle foto nelle aree comuni degli istituti. Vastissima è ormai, comprensibilmente del resto, la loro diffusione sotto altre forme digitali. Personalmente mi sono “incontrato” virtualmente con varie scolaresche tramite Zoom e Skype per raccontare le immagini e ciò che vi sta dietro».

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