Fotografia, Elena Givone al Sì Fest di Savignano

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Tra sogno e realtà, spicca tra le mostre del Si fest 2021 la forte componente etico-sociale unita alla forza immaginativa di Dreams di Elena Givone, che il pubblico potrà ammirare al cinquecentesco Monte di Pietà nei prossimi due weekend.

I lavori della fotografa torinese, che vive tra Italia e Sri Lanka, sono pubblicati in numerose riviste, esposti in gallerie, musei internazionali e collezioni private.

Dreams è un lavoro che si è sviluppato in anni di ricerca ed è il racconto di quanto il sognare e l’immaginare un mondo migliore possano aprire alla speranza, anche in Paesi segnati dalla disperazione. I protagonisti, ritratti magistralmente dall’autrice, sono i bambini costretti a vivere in situazioni difficili, dalle disperate favelas di Florianopolis (Brasile), al carcere minorile di Salvador de Bahia; dal Mali, dove l’acqua scarseggia, agli orfanotrofi di Mandalay (Myanmar, ex Birmania), ai bambini di Aleppo sfuggiti alla distruzione della loro città.

La mostra apre anche a un dialogo con il visitatore che viene invitato a scrivere un proprio sogno e poi condividerlo sui social con l’hashtag #keepyourdreamsalive.

Givone, lei si definisce «fotografa, artista visuale e sognatrice».

«Soprattutto sognatrice. Il mio lavoro sui sogni, che ho sviluppato sin da bambina, mi dona un’opportunità di condivisione con il mondo con i bambini, con i loro sogni che sono infiniti, gratuiti e liberi».

Come è nato l’impegno a voler dare voce «a un’umanità la cui parola è stata tolta»?

«A partire dal 2006 dal mio lavoro a Sarajevo con i bambini che più avevano subito le conseguenze delle guerra, come il pericolo costituito dalle mine antiuomo, poi nelle favelas in Brasile a stretto contatto con la povertà dei bambini, a cui viene insegnato – cosa che mi ha sempre un po’ turbato – che il povero “resterà povero per sempre”. Proprio per questo ho cercato questa componente di sogno e di gioco, come un aspetto ludico da condividere, da visualizzare come un inizio che aiuti a credere di poter realizzare i propri sogni».

È anche un modo di riflettere sul rapporto tra la realtà del mondo circostante e quella del proprio mondo immaginativo.

«Credo molto nel famoso fanciullino che c’è in ognuno di noi come un dono prezioso da conservare. Dando ai bambini un input, un oggetto “magico”. Così chiudendo gli occhi possono credere che un tappeto possa volare, o una lampada si trasformi in quella di Aladino. E anche i più grandi, gli adulti vengono presi dal desiderio di mettersi in gioco, come in una sorta di rito magico. La vera magia è credere davvero nei propri sogni».

Coltivando il rapporto tra l’infanzia e la fotografia, cosa dicono espressioni come quelle che leggiamo anche in questi giorni negli occhi dei bambini afgani?

«La sento come una missione. Ho lavorato con i profughi afgani nei campi in Grecia e ricordo gli occhi dei bambini rifugiati da Aleppo... Sono occhi che desiderano una normalità che non hanno e forse non hanno mai vissuto. La cosa migliore è che riescono comunque a conservare il dono dell’immaginazione e dell’empatia, la capacità che ha un bambino di vedere la sua casa con un buco causato dalle bombe e immaginare che sia una piscina, vedere cioè con occhi diversi il dolore e la distruzione e dare ancora un volto al futuro».

In cosa consiste “L’atelier dei sogni” che porta al “Si fest”?

«Sarà un incontro aperto, gratuito, libero a tutti. Come con la mostra Dreams entrerò nei sogni con gli “strumenti magici” con cui possono condividere i propri sogni, e scriverli su di un grande quaderno collettivo, con l’auspicio che si realizzino al più presto. Abbiamo un grande bisogno in questo momento storico di sognare e lottare per i nostri sogni e per quelli dei bambini del mondo».

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