Forlì. Sesso e droga dopo il pranzo tra colleghi. «Non ci fu stupro, solo cessione di coca»

Lei aveva bevuto e lui le aveva anche dato della cocaina. Ma il pranzo tra colleghi non è finito con una violenza sessuale come secondo le accuse di cui era imputato un 55enne forlivese. La sua punibilità è unicamente quella di aver ceduto droga alla sua collega più giovane di lui di una trentina d’anni.
È la sentenza letta ieri nell’aula del presidente Monica Galassi (giudici a latere Marco de Leva ed Andrea Priore) sul caso raccontato dal Corriere Romagna nelle scorse settimane. Ieri il pm Federica Messina aveva replicato alle sue conclusioni: ribadendo la richiesta di 7 anni e mezzo di reclusione per l’uomo. Mentre la difesa (avvocati Alessandro Sintucci e Marco Baldacci) aveva insistito per l’assoluzione dell’uomo.
L’episodio contestato
I fatti risalgono al periodo a ridosso delle feste di Natale 2023 e hanno avuto inizio al pranzo aziendale. La 25enne aveva alzato un po’ troppo il gomito al punto che tutti le avevano sconsigliato di tornare a casa con la sua auto.
La giovane, quindi, era salita in macchina col collega e i due avevano di lì iniziato una lunga giornata insieme. Prima l’uomo l’aveva portata in un bar per cercare di farle bere un caffè perché potesse riprendersi dall’ebbrezza. Poi, fatte delle commissioni, i due erano andati a casa dell’uomo, che doveva accudire il suo cane e somministrargli dei medicinali.
Solo dalle ricostruzioni dell’imputato (lei non ricorda nulla) la collega a quel punto si era spogliata e aveva iniziato a masturbarsi sul divano di casa. Un “invito” all’uomo a consumare un atto sessuale. In quella casa, alla 25enne, venne ceduta anche una dose di coca. E dopo il sesso, i colleghi di lavoro si spostarono in un locale notturno solitamente frequentato dall’uomo. Dove vennero visti da molti testimoni scambiarsi baci ed effusioni. Il giorno dopo il collega aveva raccontato alla 25enne la loro giornata. Lei non ricordava nulla e recepì solo in quel momento di aver fatto sesso con lui. Lo denunciò per stupro e la polizia fece scattare le manette nei suoi confronti. Prima del processo la giovane era stata risarcita con 20mila euro. Di qui l’assenza di una parte civile in aula.
Consenso e sentenza
“Il consenso all’atto sessuale deve essere sempre manifesto”. Su questo aspetto la Cassazione negli ultimi anni è sempre stata abbastanza rigida. Le motivazioni esatte della decisione del collegio di Forlì si conosceranno solo tra 90 giorni. Per ora si può dire che l’accusa ha sempre insistito nelle proprie conclusioni sul fatto che la giovane, in quelle condizioni di ubriachezza, non potesse in alcun modo aver dato un suo consenso ad un atto sessuale.
Ma la “manifesta intenzione” nel sesso non passa sempre da parole esplicitamente dette. Spesso anche da atteggiamenti e apparenza di volontà. Ed è stato questo il fulcro della difesa in aula. La giovane donna a casa del collega più grande di lui di oltre 30 anni aveva, iniziando a “toccarsi” sul divano di casa, dato prova, quanto meno, di un impulso sessuale. In seguito i due si erano recati in un locale pubblico e, con il tasso alcolemico che in lei probabilmente si era nel frattempo abbassato, si erano comportati con effusioni (viste da molti testimoni) come una “coppia”. Di qui, forse la lettura da parte dei giudici di una sorta di “consenso manifesto” o quanto meno di un approccio sessuale che per il collega di lavoro escluda un dolo.
La cessione di cocaina alla giovane donna, droga consumata in casa di lui, non è mai stata in alcun modo negata in aula. Ecco spiegata allora la sentenza di condanna per solo quel capo d’imputazione a 8 mesi di reclusione convertiti in ore di lavori socialmente utili.