Forlì. Rita Fasciani: «Violenze di genere e omicidi sono casi difficili, ma ho sempre amato il mio lavoro in Polizia» FOTO





E’ stata una colonna portante della Questura di Forlì e della Squadra Mobile, ha partecipato alle inchieste giudiziarie più rilevanti degli ultimi 25 anni: casi di violenze, omicidi e operazioni antidroga. Per Rita Fasciani, ispettore di Polizia, dopo una vita passata a indagare e a risolvere casi difficili, sempre con grande impegno e una grande dose di umiltà, è arrivato il momento di andare in pensione. Fasciani è entrata in polizia l’8 settembre 1986 e ieri è stato il suo ultimo giorno ufficiale come agente. Nei giorni scorsi in Questura c’è stata la festa per salutarla, alla quale hanno partecipato tanti colleghi di una vita.
Dopo ben 39 anni di onorato servizio è difficile lasciare la Squadra mobile?
«Ho un po’ di groppo alla gola, ieri è stato il mio ultimo giorno effettivo, si è concluso il mio percorso lavorativo, confesso che sono molto emozionata. E’ un lavoro che ho amato tantissimo e che rifarei. La mia vita da pensionata la vedo come un’opportunità di fare altro, studiare e appassionarmi a cose diverse. Prima farò un po’ di vacanza, poi cercherò di liberare la mente piano piano. Amo andare in bicicletta, mi piace viaggiare, sfrutterò il tempo libero per dedicarmi ad altre passioni. Certo, mi mancherà tornare al lavoro e incontrare i colleghi, però a 60 anni è anche il momento giusto per cominciare un altro percorso».
Nel 1986 non erano molte le donne che entravano in Polizia, perché questa scelta?
«In realtà non pensavo di fare la poliziotta, ho partecipato al concorso per provare, ho superato le selezioni poi ho frequentato il corso a Senigallia e lì ho scoperto che questo mestiere mi piaceva, mi sono appassionata soprattutto ai casi di polizia giudiziaria. Dopo nove mesi a Senigallia mi hanno destinata a Forlì, poi a maggio dell’87 ho chiesto di poter entrare nella Squadra mobile che era la mia aspirazione e lì sono sempre rimasta, a parte una parentesi di un anno alle volanti».
Quali sono state le tappe della sua carriera?
«Ho passato dieci anni, dall’87 al ’98 nella sezione narcotici, poi sono passata alla squadra volanti dal ’99 al 2000, in seguito mi sono occupata fino al 2020 di reati contro la persona: violenze di genere, stalking, maltrattamenti, ero responsabile di quella sezione. Infine, nel 2020 sono passata di nuovo alla Narcotici come responsabile».
Si è occupata tanto di violenze di genere, ha seguito donne e minori in difficoltà, ma anche casi di omicidio. Sono esperienze forti, cosa le hanno lasciato?
«Mi sono occupata di violenze di genere per vent’anni, è stata un’esperienza che mi ha arricchito tanto anche umanamente. E’ una materia delicata, fatta di indagini che richiedono un grande impegno, bisogna ascoltare e cercare di capire per aiutare le vittime e farle sentire accolte, dare loro un sostegno. Ho lavorato sempre in équipe anche con altre figure professionali che a vario titolo si occupano di violenza, abbiamo sempre fatto un lavoro di squadra. Nel corso degli anni ho partecipato a indagini di casi di omicidio e violenza di genere. Ogni caso è diverso, bisogna essere sempre preparati, utilizzare gli strumenti che si hanno a disposizione e cercare di rimanere comunque distaccati, stabilire i confini e attenersi a come sono andati i fatti. Dobbiamo ricercare la verità, con un certo distacco, cosa possibile solo con un confronto continuo tra colleghi. Poi dal punto di vista umano le mie soddisfazioni più grandi sono state incontrare donne e ragazze che ho seguito, che mi riconoscono e mi ringraziano. Questo mi ha sempre dato la spinta per andare avanti anche se era un lavoro impegnativo».
Un caso difficile che ricorda in modo particolare?
«Quello di Manuela Teverini, la donna scomparsa a Cesena nel 2000, il cui corpo non fu mai ritrovato. E’ stata un’indagine che ci ha impegnato parecchio, con un lavoro approfondito e alla fine siamo riusciti a dimostrare il movente e a trovare elementi di responsabilità a carico del marito, che poi è stato condannato. E’ stato impegnativo anche un periodo in cui mi sono occupate di sette, quando facevamo indagini per capire come la mente può essere manipolata».
A una giovane donna che vuole entrare in Polizia cosa consiglierebbe?
«Le direi di studiare, di prepararsi sempre e di capire se è un lavoro che veramente la può appassionare. E’ un mestiere che fa crescere umanamente e professionalmente, ma richiede anche molti sacrifici. Io ringrazio la Polizia che mi ha dato la possibilità di raggiungere i miei obiettivi, mi sono sempre trovata bene con i colleghi, tutti i successi sono stati collettivi».