Forlì. La partigiana Amalia Geminiani: «La liberazione ci costò tante vite. Dobbiamo mantenere viva la memoria”

Una memoria storica importante, una delle poche staffette che ancora oggi con lucidità ripercorre gli anni più bui della storia del nostro paese. Una donna «nata partigiana», per dirla con le parole di Amalia Geminiani. Ormai vicina alla soglia dei 100 anni (è nata il 26 luglio del 1925) non ha nessun problema a ripercorrere la sua vita ricordando gli anni in cui è stata in prima linea durante la Resistenza. Lei, che insieme alla sorella più piccola Viera oggi 98enne, è stata una staffetta partigiana ad Alfonsine, salvo poi trasferirsi a Castrocaro dove risiede ormai da molti anni.

«Decisi di diventare staffetta quando mio padre andò ad un funerale di un amico su richiesta di mio nonno, cadeva proprio il primo maggio - ricorda Geminiani-. Fu picchiato, non gli credettero e pensarono che avesse aderito alla festa dei lavoratori (allora era stata abolita ndr). Allora si combattevano tedeschi e fascisti, io e un altro gruppetto di ragazze che non conoscevo (non conoscersi era la regola) dovevamo controllare che non ce ne fossero in giro. Come staffetta capitava anche che dovessi spostarmi da Alfonsine, a piedi o in bicicletta quando potevo, per consegnare messaggi ai partigiani. Uno di questi bigliettini di carta è stato recapitato ad un partigiano (in seguito diventerà il marito di Amalia Geminiani) che, per farlo sparire, lo ha mangiato davanti a me».

La guerra e la ferocia della dittatura fascista non l’hanno piegata, nonostante le abbiano portato via uno degli amori della vita, Edoardo, il fidanzato di allora e che ancora adesso alle porte dei 100 anni vive nella sua memoria. «Ci siamo scambiati solo un bacio, nevicava e ci siamo riparati sotto un ombrello - racconta la staffetta partigiana -. Ricordo ancora cosa mi disse mio nonno: stai attenta che questo ha voglia di fare per bene. Morì poi durante la guerra, decise di partire per andare a combattere ma non tornò più». La morte del fidanzato fu una delle tante ferite provocate dal regime. «La guerra mi ha portato via anche mio padre, ucciso da una mina che stava disinnescando nei campi di Alfonsine», dice Amalia.

La staffetta partigiana che ha trovato ospitalità nel Forlivese per anni ha incontrato gli studenti delle scuole del territorio. Nel tempo ha riflettuto anche sul significato del 25 aprile. «La guerra era finalmente finita, avevo perso mio padre e il mio fidanzato - conclude Geminiani-. Ricordo che quel giorno incontrai un compagno che mi diede la notizia. Era arrivato il giorno della liberazione dai fascisti, che però ci costò tante vite. Oggi dobbiamo mantenere viva la memoria ma soprattutto dobbiamo essere grati perché siamo persone libere».

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