Forlì. Infermieri di assistenza domiciliare, la denuncia di Cgil e Uil: “Chiamati a più turni, anche di notte”

I circa 45 infermieri, per la maggioranza donne, dell’assistenza domiciliare integrata (Adi) sono stati assunti per turni di lavori esclusivamente diurni ma con la riforma della medicina territoriale che mira a sgravare i pronto soccorso, ora sono chiamati a lavorare anche di notte senza aumento del personale.

«Se i progetti che si vogliono introdurre per creare la sanità territoriale sono quelli che stanno venendo avanti all’assistenza domiciliare di Forlì - sottolineano Cgil Forlì Cesena e Uil Fpl - allora abbiamo parecchio di cui preoccuparci». L’Adi cittadina, fino ad un anno fa, era un reparto diurno dove lavoravano infermieri che, per motivi di salute o per scelte legate anche alla vita familiare, hanno deciso di non lavorare in reparti in cui i turni devono coprire le 24 ore.

«Nel giro di pochi mesi - spiegano i sindacati - questa realtà è stata profondamente modificata e oggi opera con servizi sette giorni su sette, notturni compresi. Il tutto avviene non solo a parità di organico ma anche con numerose figure di fatto esonerate per via di limitazioni varie e con l’istituzione di pronte disponibilità, pagate dai fondi contrattuali dei dipendenti, che non assicurano al personale una lineare turnazione». La pronta disponibilità ha un gettone di circa 20 euro e gli infermieri sono chiamati a fornire assistenza domiciliare quali, ad esempio, malati cronici, terminali, disabili. L’attuale meccanismo rischia per i sindacati di creare criticità. «Oggi il cittadino in carico all’Adi che necessita di un intervento notturno - esemplificano - deve prima chiamare il centralino dell’ospedale che a sua volta chiama il personale in pronta disponibilità. Questo, se la chiamata avviene di notte, sarà presumibilmente a casa a dormire. Chi è in pronta disponibilità si deve, dunque, svegliare e contestualmente fare un’analisi telefonica sulla base di quanto dice il cittadino sofferente dall’altra parte del telefono. È evidente come questo rappresenti di per sé un elemento di criticità tanto per i pazienti quanto per l’infermiere Adi. Nel caso in cui poi, quest’ultimo ritenga necessario intervenire, dovrà partire dalla propria abitazione, andare in ospedale, timbrare, prendere l’auto di servizio e raggiungere l’utente. Se una volta giunto sul posto la situazione fosse peggiorata, allora dovrebbe chiamare il 118 e ricominciare da capo tutta la trafila. Tutto ciò - continuano Cgil e Uil - a fronte di un pregresso in cui il cittadino chiamava esclusivamente il 118 che, con personale in guardia attiva cioè sveglio ed in servizio, prendeva in carico il problema. Dopo un anno che è partito questo servizio e viste le progettualità espansive in questo settore su cui l’azienda ragiona, è giusto chiedersi se tutto questo si può definire un miglioramento. Per noi non lo è». I sindacati invocano dunque un confronto con l’azienda.

«I servizi, che ci auguriamo tutti crescano e migliorino, non possono essere fatti calpestando i tempi di vita privata e la professionalità di chi lavora in sanità e su questo non possiamo accettare mediazioni al ribasso - sottolineano i sindacati -. Ci si gioca di fatto la sanità e non possono essere messi a terra simili progetti senza un serio, reale e profondo confronto aziendale».

La situazione al momento sembra essere destinata ad aggravarsi agli occhi dei lavoratori poiché a giorni partiranno turni aggiuntivi senza alcun aumento a livello di organico. «Se il futuro della sanità è l’assistenza domiciliare - concludono i sindacati - allora è il caso che si riveda per lo meno il parco auto che, in alcuni casi pare sia datato al 1996 e munito di uno straordinario strumento di navigazione come lo stradario. Stando così le cose potremmo seriamente rischiare di non partire neppure».

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