E’ iniziato in tribunale a Forlì il processo a carico di tre detenuti della Casa circondariale di via della Rocca, accusati di possedere illecitamente telefoni cellulari per mettersi in contatto con le loro rispettive famiglie. La vicenda, emersa in seguito a tre perquisizione di routine avvenute in momenti distinti, ha portato gli imputati davanti al giudice Federico Casalboni.
Il dispositivo trovato nelle mani di uno dei detenuti, difeso dall’avvocata Pamela Fragorzi in sostituzione del collega Gianluca Betti, è risultato essere tra l’altro di proprietà di un agente in servizio proprio del carcere di Forlì. Il cellulare è stato rinvenuto addosso all’uomo durante un consueto controllo serale. Ulteriori accertamenti hanno subito svelato un dettaglio che ha fatto scattare immediatamente l’allarme: il telefono era registrato a nome di un membro del corpo di Polizia Penitenziaria della struttura. Secondo le prime ricostruzioni, il dispositivo sarebbe stato prelevato da un armadietto inutilizzato da tempo e comunque sigillato da un lucchetto, che è stato poi trovato manomesso e scassato. Come riportato dallo stesso agente, ascoltato dal giudice l’altra mattina, del cellulare di sua proprietà in mano ad un detenuto ne è venuto a conoscenza in un secondo momento parlando con i colleghi.
Tra l’altro durante la prima udienza è emerso che nell’armadietto in questione erano presenti diversi oggetti personali, tra cui due cellulari ma entrambi senza sim. Il procedimento servirà a fare chiarezza anche sull’accaduto. I tre devono rispondere ora del capo di imputazione di accesso indebito a dispositivi idonei alla comunicazione da parte di soggetti detenuti (articolo 391 ter del codice penale), reato introdotto per contrastare il fenomeno dei telefoni in carcere.
Si tornerà in aula a metà dicembre, occasione nella quale verranno ascoltati i testimoni del pubblico ministero e i tre imputati. Nella stessa giornata è prevista anche la discussione dell’accusa e della difesa.