Sono passati 81 anni da quella tragica domenica del 10 dicembre 1944, in cui una bomba tedesca ad altissimo potenziale cancellò 20 povere vite e un gioiello storico architettonico che tutti ci invidiavano: la chiesa quattrocentesca di San Biagio in San Girolamo. «Il suo fiore all’occhiello - dichiara il parroco del Centro Storico di Forlì, don Nino Nicotra - era la prima cappella a destra, nota come cappella Feo, il cui progetto decorativo spettava a Melozzo da Forlì, mentre l’esecuzione degli affreschi, operata tra il 1493 e il 1495, era attribuita al suo allievo più talentuoso, Marco Palmezzano». Dedicata a San Giacomo Maggiore, fu commissionata da Caterina Sforza, signora di Forlì, come cappella gentilizia per la famiglia del suo secondo marito Giacomo Feo, ucciso nel 1495 e qui sepolto. La devastazione prodotta dal bombardamento fu tale, che «il muro più alto rimasto in piedi - scrive l’allora direttore dell’oratorio salesiano, don Marco Perego - in corrispondenza dell’abside, non superava i due metri: tutto amputato e dissolto».
Il bibliotecario comunale Antonio Mambelli, nel suo diario, alla data del 15 dicembre 1944 annota di aver provato a «ricercare fra le macerie un frammento d’affresco almeno, ma nulla, tutto è ridotto in polvere». La memoria delle opere distrutte è giunta sino a noi grazie alle foto scattate dai Fratelli Alinari in occasione della Mostra di Melozzo e del Quattrocento romagnolo, allestita tra giugno e ottobre 1938 nel palazzo del Merenda a Forlì. Recentemente, lo stesso don Nicotra ha rivelato alla rivista specializzata Cores-Conservazione e Restauro, diretta da Giorgio Bonsanti, il suo grande sogno: restituire alla comunità forlivese i capolavori perduti. «Sono da valutare diverse possibilità - dichiara - anche se la prima sarebbe quella di una ricostruzione virtuale con l’utilizzo dell’intelligenza artificiale e delle tecnologie oggi disponibili, all’interno dell’odierna San Biagio». Ma don Nino riesce a spingersi anche oltre, ipotizzando di ricostruire fisicamente gli affreschi melozziani, sull’esempio dell’impresa pionieristica portata a compimento in Sicilia, a Palermo, con la celebre Natività del Caravaggio. Della preziosissima opera, trafugata nel 1969 all’interno dell’Oratorio di San Lorenzo e mai più ritrovata, è stata realizzata nel 2014-15 una fedele “ricreazione” dal Laboratorio Factum Arte di Madrid: «Quell’opera – ricorda don Nino - oggi occupa lo spazio rimasto vuoto per anni nella chiesa, senza pretese di ingannare il visitatore, ma dando un’idea efficace della tela originale nel suo contesto». Il parroco del centro storico di Forlì è ben consapevole che la restituzione del capolavoro perduto di Melozzo alla città, visti i costi ingenti, può riuscire soltanto con la partecipazione di realtà imprenditoriali solide, disposte a coinvolgersi in un’azione di autentico mecenatismo culturale e con il sostegno dei cittadini più sensibili e delle istituzioni territoriali. Speriamo che anche queste pagine risuonino come un appello efficace alle autorità e ai forlivesi interessati: il recupero della Cappella Feo sarebbe un valore aggiunto inestimabile per l’intera comunità forlivese.