Forlì. Giardini davanti a San Domenico intitolati a Dino Amadori, il figlio: «Per lui la ricerca era cultura»

Forlì

Domani alle 11 si svolgerà la cerimonia di scoprimento delle due targhe con epigrafe del “Giardino Dino Amadori”. Nella toponomastica cittadina il nome del grande medico è stato assegnato alla nuova area verde antistante il complesso dei Musei San Domenico nella quale sono collocate le targhe che ne sottolineano il valore scientifico e umano. Le targhe propongono anche una sua frase dedicata all’importanza della ricerca scientifica che fu la stella polare del suo percorso professionale. Alla cerimonia interverranno i familiari del professor Dino Amadori, il sindaco di Forlì Gian Luca Zattini e rappresentanze dell’Istituto oncologico romagnolo e dell’Istituto tumori della Romagna Irst Irccs di Meldola. «Questa iniziativa per noi dell’associazione “Dino Amadori Ets” rappresenta un nuovo inizio – dice Giovanni Amadori, figlio di Dino –. Un nuovo inizio che vogliamo radicare dentro un progetto più ampio, condiviso, generoso: quello di Forlì Capitale italiana della cultura. Quel 2020, quell’ultimo viaggio terreno di mio padre, non ha segnato la sua scomparsa, ma l’inizio di una presenza diversa, costante, viva, profonda. I valori che hanno tracciato la vita di mio padre sono valori culturali: la ricerca è cultura, la scienza è cultura, il terzo settore e il volontariato sono cultura, la formazione di nuovi medici e la cura dei pazienti sono cultura. La nostra associazione si ispira, sì, ai valori che hanno guidato la vita del Professor Amadori, ma ancor prima ai sentimenti che tantissime persone mi hanno condiviso in questi anni: pazienti, amici, colleghi, semplici cittadini. Lettere, racconti, testimonianze che mi hanno fatto venire la pelle d’oca, che raccontano di lui cose che non conoscevo».

Il percorso

Giovanni, insieme al fratello Andrea, ricordano le tante iniziative mediche e scientifiche che hanno portato Dino Amadori ad avere una visione futuristica del suo lavoro. «Da giovane medico specializzato in oncologia – dice Giovanni – ha pensato che fondamentale nella ricerca fosse l’assistenza alla cura del paziente e avere un supporto economico per sostenere questo suo pensiero. E quindi ha creato lo Ior. Poi capisce che per curare il paziente bisogna anche fare ricerca e quindi fonda l’Irst di Meldola. E poi, un altro punto fondamentale: la Rete Oncologica della Romagna. Mio padre la pensò così, come rete territoriale, multidisciplinare, integrata, capace di far dialogare strutture, competenze e territori all’interno di un’unica visione. Oggi quella rete è stata ampliata e formalizzata come Rete Onco-Ematologica dell’Emilia-Romagna. E infine la Facoltà di Medicina a Forlì, altro suo grande sogno. Perché, diceva, per fare buona ricerca servono buoni ricercatori. E per avere buoni ricercatori bisogna formarli, nutrirli di sapere, coltivarli».

La solidarietà

E poi c’è l’impegno per i più deboli. «Il suo impegno in Africa, in Tanzania. Credo, anzi ne sono convinto, che mio padre abbia raggiunto la propria maturità più profonda, umana e professionale, negli ultimi vent’anni della sua vita, quando ha deciso di dedicarsi anima e corpo anche alla fondazione di un’opera straordinaria. Mi riferisco al primo Istituto di ricovero e cura per malati oncologici dell’Africa subsahariana, a Mwanza, in Tanzania. Ricordo quel viaggio in Tanzania insieme a lui. Non c’era nulla. Non esisteva una struttura, un piano, una base. Ma lui vedeva già tutto. Vedeva un ospedale, un istituto clinico, vedeva medici, infermieri, pazienti curati, vedeva dignità restituita a chi non l’aveva mai avuta». Domani Forlì omaggerà il suo illustre cittadino con un’intitolazione che rimarrà anche per future generazioni.

Newsletter

Iscriviti e ricevi le notizie del giorno prima di chiunque altro Clicca qui