Forlì, don Erio Castellucci ricorda i 10 anni da arcivescovo

Forlì

Sono già trascorsi dieci anni dal 12 settembre 2015, data della consacrazione episcopale del sacerdote forlivese don Erio Castellucci, avvenuta nell’inconsueta cornice del Palafiera gremito da almeno tremila fedeli, fra cui 300 modenesi. Il giorno successivo sarebbe entrato a Modena-Nonantola come nuovo arcivescovo, acquisendo nel 2020 anche la guida pastorale di Carpi.

Monsignore, cosa ricorda di quel giorno?

«Che non finiva più. E non tanto per la lunghezza della celebrazione, a cui non sono abituato (più di due ore), quanto per l’intensità dei simboli liturgici, degli incontri con le persone e dei sentimenti che ho provato. In particolare ricordo l’abbraccio di tanti forlivesi, legati a diversi momenti della mia vita e del ministero in diocesi: è stato come se in poche ore mi fossero passati davanti agli occhi e nel cuore tanti anni».

Cosa ha trovato a Modena in grado di arricchire la sua vita di uomo e sacerdote?

«Le relazioni. Spesso, ovviamente, sono rapporti funzionali per organizzare qualche iniziativa, per verificare come vanno le parrocchie e gli uffici di Curia, per rilanciare qualche proposta, e così via. Però, in mezzo a queste relazioni finalizzate, ce ne sono tante gratuite. E mi arricchisce riscontrare ogni giorno quella che papa Francesco chiamava “la santità della porta accanto”: tanta fede, generosità, dedizione, nelle case, nei luoghi di lavoro e di cura. E vedo anche molte persone giovani che si impegnano nelle nostre comunità cristiane e civili».

Cosa le manca di Forlì e della vita da parroco?

«La possibilità di accompagnare i cammini di crescita delle persone. In diocesi a Forlì, e soprattutto nelle parrocchie in cui sono stato in qualche modo coinvolto, mi ero appassionato a seguire le persone - singolarmente o come coppie - e cercare di imparare e dire il Vangelo nelle diverse fasi del loro percorso. Ho soprattutto imparato ad affrontare con fede le situazioni quotidiane, nelle loro gioie e sofferenze; ad evitare giudizi facili sulle persone e le famiglie, spesso in condizioni difficili; ad apprezzare la concretezza del Vangelo per la vita quotidiana».

I giovani modenesi: è riuscito a catturare la loro attenzione e a migliorare l’appeal della chiesa nei loro confronti?

«Non credo di avere catturato l’attenzione dei giovani. Piuttosto ho trovato a Modena e a Carpi una pastorale giovanile vivace e coinvolgente. A Modena c’è una tradizione diocesana, avviata quaranta anni fa dal vescovo Bruno Foresti, che coinvolge per tante iniziative i gruppi parrocchiali ed è coordinata dal Servizio diocesano di pastorale giovanile. A Carpi invece, si fece la scelta di favorire in ogni parrocchia l’associazionismo dell’Azione Cattolica e dell’Agesci».

Lei torna spesso a Forlì: quando è previsto il suo primo impegno nella nostra città?

«Ho due “ritorni” in programma. Uno a fine ottobre, per una conferenza su fede e scienza organizzata dall’Associazione San Mercuriale; l’altro a metà novembre a Bertinoro, per un incontro a vent’anni dall’inaugurazione del Museo interreligioso».

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