Forlì. Dall’insegnamento al safari, a 29 anni Sofia Vicidomini ha deciso di cambiare vita

Ha solo 29 anni, Sofia Vicidomini, una laurea in Biologia e una magistrale in Etologia alle spalle, ma la sua vita è già proiettata in una dimensione ben diversa da quella della natia Forlì. Attualmente infatti vive a un’ora e mezza di distanza da Pretoria, in Sudafrica, nella Dinokeng Game Reserve dove si è appena diplomata alla “Limpopo Field Guiding Academy” come guida per safari. L’esistenza è a dir poco spartana, si dorme in tenda, si cucina, si mangia, ci si lava all’aperto: ma tutto intorno c’è l’Africa.

«Sono arrivata qui il 5 gennaio - racconta Vicidomini -: un corso intensivo di due mesi mi ha permesso di ottenere la qualifica di guida, mentre ora per un mese mi specializzerò nei percorsi a piedi e per gli ultimi tre mesi mi sposterò in una riserva a nord per un tirocinio anche sulla guida di mezzi».

Nel campo attuale Vicidomini, una bella ragazza dai lunghi capelli neri e il sorriso pronto, convive con altri 13 corsisti, qui per costruirsi una professione o semplicemente per fare un’esperienza.

«Io mi trovo in entrambe le categorie - commenta ridendo la giovane guida -: fin da bambina infatti sono stata affascinata dall’Africa e dagli animali e anche la scelta universitaria, dopo il Liceo classico, è stata indirizzata da questo. Una volta laureata ho insegnato per tre anni, un’esperienza bellissima, ma continuavo ad avere questo desiderio. Stare qui del resto mi fa sentire come se appartenessi a questa terra e vi trovassi le mie radici, e ho capito cosa fosse il “mal d’Africa”...».

Un bel cambiamento rispetto a Forlì!

«È vero, e l’Africa non è un posto facile, anche se nella riserva non si è molto toccati da quello che succede fuori. Quando però si va nelle città si vedono tutti i problemi anche dovuti a un tasso di criminalità molto alto».

Ma come si diventa guida per safari?

«Abbiamo seguito prima una parte teorica sull’ambiente della savana, a cui sono seguite uscite in jeep e a piedi per vedere comportamenti e reazioni degli animali, conoscere geologia e piante, qui legate a usi medicinali e anche magici, e per riconoscere le tracce, il che permette di interpretare spostamenti e comportamenti degli animali. Tutto questo ora mi consente di portare in giro le persone spiegando quello che vedono e arricchendo così la loro esperienza. Noi siamo ospiti in questi luoghi, e se gli animali delle riserve tutto sommato sono abituati a vedere le jeep, quando cammini nel loro territorio tutto è più complicato».

E più pericoloso...

«Occorre mantenere le distanze senza interferire, un principio su cui qui si insiste molto. Ma può anche capitare di imbattercisi inaspettatamente, come quando abbiamo incontrato un rinoceronte nero, dal carattere notoriamente piuttosto... suscettibile. Ci ha dato un bell’avvertimento, sbuffando e scavando con le zampe davanti, e i nostri mentori ci hanno dato indicazioni su come reagire: però, ammetto, trovarselo davanti fa davvero impressione! Come è stato per il mamba nero in cui mi sono imbattuta una notte andando ai bagni... Però in genere gli animali hanno altro da fare, ed evitano il confronto con gli umani».

Lei parlava di “mal d’Africa”.

«Sì, sono tante le emozioni positive, come vedere a pochi metri i propri animali preferiti, per me le iene, o riconoscere le voci degli uccelli, un altro strumento per leggere il territorio ed enfatizzare l’esperienza delle persone. Il safari poi ti fa capire come tutto sia collegato, dal microorganismo ai grandi predatori: e questo aiuta a vedere le cose in un’altra luce e sentirti parte di un tutto, a contatto con i rumori della savana, con i versi degli uccelli, con te stesso...».

Ma il safari in fondo non è anche un’invasione?

«Spesso ormai è l’unico modo per preservare animali e luoghi assediati dalle costruzioni e dalle coltivazioni, e per la gente del posto l’afflusso di turisti è un bell’incentivo per rispettare il territorio. Inoltre spesso si è coinvolti in progetti di conservazione, come accade in questa riserva che collabora con altre per preservare i ghepardi, grandi, bellissimi predatori minacciati dal nostro progresso».

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