Forlì, Coronavirus. "Mascherine di nuovo esaurite"

Forlì

FORLI'. In un’ipotetica enciclopedia, la voce “Fase 2” sarebbe così declinata: progressiva riapertura delle attività lavorative e lento ritorno alle abitudini di vita, personali e collettive, precedenti al lockdown, con l’obbligatorietà del distanziamento sociale e dell’uso di mascherine in qualsiasi relazione interpersonale. Problema: più gente può muoversi, frequentare posti, attività, persone e più mascherine servono e a metà maggio ecco che l’orologio del tempo sembra tornato indietro di due mesi. I dispositivi di protezione individuali sono di nuovo introvabili. Nelle farmacie, quelle chirurgiche che il 27 aprile il Governo aveva deciso di mettere a disposizione dei cittadini al “prezzo politico” di 50 centesimi, sono già esaurite e i rifornimenti sono avvolti nelle nebbie. Riaprendo lunedì al pubblico tantissime altre attività, la situazione è decisamente critica.


In tutta Italia servirebbero 15 milioni di dispositivi al giorno e Federfarma ha denunciato lo stallo a chiare lettere. «Bisogna trovare una soluzione al più presto perché se anche gli ospedali stanno nuovamente faticando a reperire mascherine, figuriamoci i cittadini - lamenta Alberto Lattuneddu, presidente di Federfarma Forlì-Cesena -. È chiaro che nessuno ha la facoltà di moltiplicare i pani e i pesci e che lo Stato, anche decidesse di rendersi autonomo nella produzione, non potrebbe rispondere a un bisogno che è immediato. Ai farmacisti, però, arrivano 50 mascherine ogni 3-4 giorni e con queste dotazioni non riusciamo a rispondere a una richiesta che dal 4 maggio è aumentata moltissimo e che crescerà ancora dopo il 18. La gente continuerà a lamentarsi con noi, ma siamo solo l’ultimo anello di una catena che non funziona».
Il problema ha molteplici sfaccettature a partire dal prezzo imposto, molto più basso di quello di altre nazioni dove i dispositivi costano 30 centesimi in più. «Gli esportatori hanno maggiore interesse a venderle altrove e i grossisti ora le stanno contingentando. Noi farmacisti prima le acquistavamo a 1,60 euro più Iva per venderle a 2, ora a 50 centesimi con costi di sconfezionamento e sanificazione che non addebitiamo al cliente. Per il cittadino, però, il guaio è che i fornitori le acquistano a 70-80 centesimi l’una e quindi non hanno più guadagno. Nessuno lo ha, quindi la catena si è praticamente interrotta. Non possiamo certo fidarci delle decine di mail che ci arrivano da fornitori o pseudo fornitori sconosciuti».
Una soluzione, però, dovrà pure esserci. Lattuneddu l’individua. «Ad accrescere il problema è stato l’ingente quantitativo di dispositivi sequestrati, varie decine di migliaia solo nel nostro territorio. Noi li avevamo ordinati e non sono arrivati, quindi siamo parte lesa, ma queste mascherine potrebbero tornare a disposizione delle farmacie». Come? «Se le ragioni del sequestro sono legate alle certificazioni, ma questi dispositivi di protezione sono validi, le indagini vadano pure avanti, ma li si faccia certificare e immettere sul mercato o le si regali a Protezione Civile e Comuni. L’importante è non lasciarle nei magazzini».
Succederà? Il presidente di Federfarma sospira sapendo che del domani non v’è certezza e intanto dà un consiglio. «I cittadini trattino bene le loro mascherine, le usino con oculatezza e se non si indossano in ambienti a rischio si possono mantenere più a lungo sanificandole internamente ed esternamente con spray idroalcolici». Sempre che si trovino. Anche questi.

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