Forlì. Bucchi: «L’alluvione è stata una frattura profonda fra passato e futuro, ora va costruito un ponte con l’impegno di tutti»

Forlì

L’alluvione di maggio ha segnato la storia di Forlì e della Romagna, un evento mai accaduto prima che ha messo in ginocchio interi paesi in montagna e che nella città mercuriale ha contato tre vittime delle 16 totali che hanno perso la vita in regione. A sette mesi dai quei tragici eventi la ripartenza è stata lenta, ci sono ancora famiglie senza una casa e la ricostruzione è appena iniziata. Per tornare alla normalità il percorso sarà ancora lungo, ma il dato positivo è che la solidarietà non si è mai fermata.

Alessandra Bucchi, presidente del Comitato unitario vittime del fango Forlì, ripercorre i tragici momenti e fa il punto della situazione.

Bucchi, le prime avvisaglie erano arrivate a inizio maggio, poi il 16 il Montone ha rotto gli argini e l’acqua è arrivata dappertutto invadendo soprattutto i quartieri Romiti e San Benedetto. Cosa ricorda di quei terribili giorni?

«I primi allagamenti si erano verificati già il 2 maggio, ma la gravità era stata abbastanza limitata pur causando diversi disagi. Il 16 invece è arrivata l’acqua dappertutto verso sera e durante la notte, quel giorno è iniziato l’incubo. E’ saltata la corrente, c’erano metri di acqua in tantissime zone, in alcune, come ai Romiti, è arrivata fino ai piani alti. Ci siamo ritrovati improvvisamente senza nulla, alcune persone hanno perso completamente la casa e la paura è stata tanta. Da quel giorno ad oggi sono stati mesi molto impegnativi, sia dal punto di vista operativo sia da quello psicologico; abbiamo dovuto ripulire case, ricostruire, ripristinare, ripartire da zero dopo aver perso parte della nostra vita, della nostra storia. E’ un lavoro che è durato molti mesi ed è per alcuni una fase ancora in corso. Purtroppo ci sono persone che sono ancora fuori casa. Tra mille problemi e incertezze abbiamo fatto passi in avanti, poi si tornava indietro per fare nuove valutazioni. I problemi non sono mancati, non è stato un percorso lineare e non lo è tuttora, perché la situazione si evolve continuamente».

Come è nata l’idea di fare un comitato unitario forlivese e di unirsi poi agli altri comitati della Romagna?

«L’idea dei comitati è nata dall’esigenza di condivisione e confronto sulle necessità che si presentavano di volta in volta, poi è emersa la volontà di un confronto tra tutti i comitati alluvionati per unire le forze e interagire con gli enti preposti (Comune, Regione, Stato, Protezione civile). Abbiamo un dialogo sostanzioso con la commissione guidata dal Commissario per la ricostruzione Francesco Paolo Figliuolo e con tutti gli altri enti. In particolare abbiamo incontri organizzati quasi mensili sia con la Commissione, sia con la Regione per sciogliere nodi e dubbi relativi alle ordinanze concernenti alla ricostruzione. Sarà una cosa molta lunga perché il danno è stato enorme, le domande di risarcimento saranno tantissime e difficili da gestire. Il grosso delle domande probabilmente ci sarà in un momento successivo in quanto è necessario fare le perizie prima di effettuare le richieste. Forse si poteva fare di più e con tempi più celeri, quantomeno nella fase iniziale, è vero che la situazione è complessa ma gli alluvionati hanno bisogno di risposte immediate. A livello locale abbiamo chiesto più volte un tavolo di concertazione con tutti gli attori del territorio, ma non è mai stato fatto».

Nonostante le difficoltà, la città si è rialzata e la solidarietà è ancora tanta, ma non bastano a far passare la paura.

«La città si sta rialzando con grande impegno da parte degli alluvionati e da parte di tutti coloro che aiutano, a cominciare dai volontari che hanno dato una mano sia nella fase drammatica, sia nel post alluvione. Le raccolte fondi sono importantissime soprattutto per le famiglie più colpite, sono un aiuto concreto e da un punto di vista emotivo tengono alta l’attenzione sul disagio e le difficoltà quotidiane. Abbiamo avuto un evento che ha profondamente modificato il territorio, serve un approccio diverso rispetto ai paradigmi del passato. E’ necessario un cambio di mentalità rispetto alle esigenze idrogeologiche. La tutela del territorio deve diventare una priorità. Non possiamo avere la tranquillità perché siamo consapevoli che i lavori da fare sono anche strutturali, servirà tempo per poterli eseguire. Le nostra aspettative erano diverse, nella fase iniziale molti alluvionati si sono trovati soli e i lavori fatti nell’apparato idrogeologico finora sicuramente non sono sufficienti, serviranno lavori strutturali più ampi che speriamo vengano fatti in tempi accettabili. La paura che non vengano eseguiti gli interventi necessari nella maniera giusta continua ad esserci».

Anche dal punto di vista psicologico servirà tempo per superare il dramma, dopo questo anno terribile cosa si aspetta dal futuro?

«La speranza è che la comunità continui a rispondere in maniera concreta e solidale, che le istituzioni facciano tutto quanto è in loro potere e che nessuno dimentichi, la storia ci deve insegnare ad andare verso un futuro di maggiore sicurezza. Questa tragedia è stata una frattura molto profonda tra passato e futuro, bisogna costruire un ponte che li unisca. Ci vuole impegno da parte di tutti».

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