Forlì. Accolto l’appello del Papa a digiunare, il vescovo Corazza: «Dobbiamo desiderare la pace come il corpo quando ha fame»

Forlì

Anche la diocesi di Forlì-Bertinoro ha aderito ieri all’appello di papa Leone XIV di una giornata di digiuno e preghiera per la pace e la giustizia. Al vescovo monsignor Livio Corazza abbiamo chiesto di spiegare le ragioni di questo invito.

Monsignore, ma serve ancora pregare per la pace?

«Il papa mercoledì scorso ha proposto a tutta la chiesa di pregare e digiunare per un giorno. Il poco preavviso mette in evidenza due cose: la gravità del momento e la prontezza della Chiesa. Il momento è veramente grave... Sono migliaia i morti a causa delle guerre, di quelle che occupano le prime pagine e non solo. Fa impressione che i bambini, le case, i condomini, siano obiettivi militari; che si pianifichi la carestia e le conseguenti morti a causa della denutrizione. Disumanità. Orrore. “Quante volte ancora dovrò guardare/gli occhi dei bambini di Sarajevo/prima che si strappi il velo intorno al cuore/” cantava Claudio Chieffo nel 1993. Alla città di Sarajevo potremmo sostituire Gaza, Kiev, il Sudan....».

Perché la chiesa insiste così tanto per la preghiera?

«Perché è la pronta risposta per vincere, innanzitutto, nel cuore di chi prega, la tentazione di far crescere odio e sfiducia. Il papa chiede di pregare, sapendo che ogni eucaristia è una preghiera per la pace».

Cosa fare per far arrivare la pace?

«Non possiamo, non dobbiamo, non vogliamo arrenderci. “Morte e Vita si sono affrontate in un prodigioso duello. Il Signore della vita era morto; ma ora, vivo, trionfa” (Sequenza di Pasqua). E’ un duello che non finisce mai. E la vittoria sarà alla fine, ma già ora possiamo sperare, lottare per la pace. Come altre volte è capitato».

Il papa chiede anche di digiunare per la pace.

«Sì, ma non la domenica. Non si può digiunare nel giorno della risurrezione di Cristo, ma in quello che ricorda la sua morte. Sottolineo che il digiuno è la pratica che ci unisce ai laici, ai non credenti, agli uomini di buona volontà, è condividere la fame di chi la subisce. E’ voler gridare con il nostro corpo: fino a quando non desidereremo la pace come il corpo quando ha fame, non otterremo mai la pace per tutti».

Cosa possiamo fare noi cristiani oltre che pregare?

«Quando scoppia un incendio, si cerca di bloccare le fiamme togliendo l’erba secca, arando il terreno, formando un cordone che fermi le fiamme. Così con la preghiera e il digiuno, che però non bastano, bisogna far crescere la cultura del dialogo, come ha richiesto lo stesso papa a noi vescovi il 17 giugno scorso: “Auspico, allora, che ogni Diocesi possa promuovere percorsi di educazione alla nonviolenza, iniziative di mediazione nei conflitti locali, progetti di accoglienza che trasformino la paura dell’altro in opportunità di incontro. Ogni comunità diventi una “casa della pace”, dove si impara a disinnescare l’ostilità attraverso il dialogo, dove si pratica la giustizia e si custodisce il perdono. E’ quello che cercheremo di fare in Diocesi nel prossimo anno pastorale: ogni comunità, famiglia, gruppo, diventi un laboratorio di pace. Perché la pace non sia solo un’utopia spirituale».

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