Coronavirus, «Non è tempo di puntare il dito ma bisogna che tutti diano una mano»

Forlì

È rientrata dalla Cina appena prima che scoppiasse la bufera “Coronavirus”, dopo i primi sei mesi di studio, ed ora non può più tornarci per completare l’anno di università. Aveva già comprato il biglietto aereo per il ritorno, che le è stato rimborsato.
Gaia Ruscelli, 21 anni, stava frequentando l’anno universitario a Chongqing, nel sud della Cina, a circa 800 chilometri dalla zona in cui è scoppiata l’epidemia. In Cina aveva già frequentato un anno di studi a 17 anni, quando era al liceo scientifico di Bagno di Romagna. Quel primo soggiorno l’ha fatta innamorare ancora di più di questo grandissimo paese e ora, di fronte al Coronavirus, cerca di documentarsi, di conoscere, di essere vicina al popolo cinese.

Cosa ne pensi della vicenda Coronavirus?
«Spero che le persone continuino a documentarsi come sto cercando di fare io ogni giorno e non ridurre tutto al dare semplicemente una colpa ai cinesi per quello che mangiano o per le loro condizioni igieniche. Diverse le culture, diverse le tradizioni, ora non è tempo di puntare il dito, è tempo di darsi la mano».

Tu stai frequentando l’Università di Venezia?
«Sì, il terzo anno del corso triennale di Laurea in Lingue, Culture e Società dell’Asia e dell’Africa Mediterranea all’Università Cà Foscari”.

In Cina che lingua parli?
«Quasi esclusivamente cinese, anche perché i cinesi che sanno parlare inglese sono pochi e il loro livello è piuttosto limitato».

Hai amici di altri paesi?
«Sì, certo. nella mia classe ho potuto conoscere egiziani, russi, albanesi, coreane, indiani. La mia compagna di stanza viene dal Kazakistan».

Con l'università come riuscirai a procedere ora?
«Ancora non so. L’università, sia a Venezia che in Cina, ci tiene aggiornati su tutti i cambiamenti, e in caso venga confermato un annullamento del secondo semestre in Cina questo non avrà conseguenze sul mio piano di studi a Venezia».

Quest'anno in Cina cosa studiavi?
«Frequentavo lezioni di cinese ogni giorno, suddivise in ascolto, lettura, grammatica, conversazione, scrittura e canto, il tutto in cinese con professoresse cinesi, e poi mi è stato permesso di seguire un corso facoltativo di storia e cultura cinese».

Cos’è per te la Cina?
«Tornare a viverci, dopo i 10 mesi a 17 anni, è stato come rientrare a casa. C’è un senso di familiarità; la cosa che più mi fa sentire bene dei cinesi è quando mi guardano spalancando i loro occhi a mandorla pieni di curiosità e offrendomi sorrisi gratuiti. Cina è tante cose insieme, è prima di tutto caos, colore e tanto, tantissimo calore. La Cina è sempre stata per me un enorme paradosso, un Paese estremamente libero, ma dentro alle sue mura. Saltellare, gridare, ballare nelle piazze, tutto è lecito, anzi, normale. La Cina è ricca di contrasti, dai clacson rumorosi che animano vie ricche di grattacieli grigi alti fino al cielo, al silenzio delle pagode rosse, dal riso in bianco, alle porzioni abbondanti di spaghetti fritti con mille salse».

E adesso col Coronavirus come la mettiamo?
«È arrivato a interrompere la mia vita da bambina curiosa e spensierata. Vedere la Cina quasi impotente, rispetto a come ero abituata a vederla, mi fa salire un nodo alla gola difficile da descrivere, ancora di più se penso di non poter fare niente per poter aiutare. Ma conosco lo spirito di comunità che anima i cinesi e il loro attaccamento al proprio Paese, e sono sicura che si rialzeranno in fretta». E, ribadisce Gaia, «ora non è tempo di puntare il dito, è tempo di darsi la mano».

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