Forlì. Ecco i "dog-tori": i cani diventano colleghi dei medici in Pediatria - Gallery

Ogni martedì mattina alle 9, si recano nel reparto di pediatria dell’ospedale Morgagni-Pierantoni. Non hanno il camice bianco e lauree in medicina ma spesso sono capaci di “curare” il cuore delle persone: infondendo il coraggio necessario per affrontare esami che incutono timore, regalando un sorriso smarrito tra le righe di una cartella clinica o, semplicemente, quella leggerezza d’animo che spesso rimane fuori dell’ospedale. Sono i cani e il gatto dell’equipe di Interventi assistiti con animali (Iaa) della Fondazione opera Don Pippo onlus di Forlì. Non semplici comparse ma veri e propri co-terapeuti a quattro zampe che lavorano in sinergia con le loro compagne umane, ovvero Silvia Corvini e Giulia Grigi, psicologhe e psicoterapeute esperte in Terapia mediata da animali e Iaa e Raffaella Pirini, medico veterinario esperto in Iaa. Una vera e propria squadra di professionisti dunque, la cui forza sta nella relazione.


«Prima di tutto – sottolinea Corvini – sono i nostri cani ma anche i nostri colleghi. Durante l’intervento assistito siamo sempre due psicoterapeute poiché una è il riferimento del cane e l’altra lo è del paziente». Maestri di comunicazione senza l’utilizzo di parole e d’intesa fatta di sguardi, gli animali si sa sono esseri profondamente sensibili che riescono a colmare in maniera naturale quei vuoti che spesso si creano tra gli umani rendendo più leggera l’atmosfera anche in reparto. Il progetto, realizzato grazie all’associazione “Corri Forrest” che lo ha finanziato, è partito quasi per caso dando immediatamente frutti tangibili. «Un paziente psichiatrico in oculistica – spiega Elena Vetri della direzione sanitaria dell’ospedale di Forlì – aveva delle grossissime difficoltà ad eseguire un esame sull’occhio tanto che, per tre volte, era tornato in struttura senza riuscire ad essere sottoposto all’esame. È bastato, invece, l’aiuto del cane Matilda per tranquillizzare il paziente e permettergli di fare l’accertamento diagnostico. Ha dato, quindi, un importante apporto non solo al paziente ma anche al personale poiché non era di semplice gestione». Labrador di 4 anni e mezzo, Matilda era stata comprata in un allevamento nel cesenate e poi era finita in canile nelle Marche finché la sua storia, tre anni fa, non ha incrociato l’attenzione di Silvia Corvini che l’ha adottata. Di poco più giovane è Kao, allegro golden retriever di Giulia Grigi che invece lo ha acquistato quando aveva appena due mesi proprio con l’idea di fare interventi assistiti. «Ho iniziato questa attività con un maremmano – racconta – che poi si è ammalato e l’ho pensionato. Il nome di Kao lo hanno scelto i ragazzi giovani con disabilità con cui lavoravo: volevo scegliere per lui un nome che fosse facile da chiamare e quindi abbiamo scelto Kao in modo che i ragazzi possano chiamarli in maniera autonoma senza la mediazione di qualcuno». La squadra di terapeuti con vibrisse impegnata in ospedale è ampia e non composta esclusivamente da cani. Oltre a Matilde e Kao, infatti, portano il loro supporto in corsia anche Mukki, una piccola levriero italiano e Amilcare, un gatto di circa 4 anni che, tranquillo e pacato, non esita ad entrare in reparto al guinzaglio. «Lui ha un atteggiamento estremamente curioso ed esplorativo – spiega Pirini – ricerca in maniera incredibile il contatto con le persone e quindi si presta molto. Ci è capitato un bimbo che lo ha preso per le guance e lui era beato, faceva addirittura le fusa. Questo tuttavia è uno degli aspetti rispetto ai quali bisogna stare più attenti: sono animali che sono stati supportati nella tolleranza alle manipolazioni e ad accettare quello che normalmente non sarebbe stato accettabile per i loro simili».
Se, naturalmente, le attività ruotano attorno al paziente, medesima attenzione viene infatti riservata ai “terapeuti a quattro zampe”. «Durante la seduta – continua – bisogna sempre stare attenti a non eccedere perché gli animali sono generosi e tenderebbero a sopportare più del dovuto. I coadiutori (ovvero sia le due psicoterapeute e Pirini stessa, ndr) devono stare attenti a non chiedergli troppo». «A loro non viene chiesto nulla – specifica Giulia Grigi – , vengono coinvolti e se vogliono interagire lo fanno, sono meravigliosi così. A noi interessa creare una relazione, quello che ci interessa è che sia spontaneo».
«Oltre ai pazienti ricoverati in pediatria – spiega Enrico Valletta, direttore dell’unità operativa di Pediatria – , i “dog-tori” sono stati coinvolti anche in progetti specifici come quello su alcuni adolescenti con il disturbo del comportamento alimentare. L’impressione generale è assolutamente di grande soddisfazione. Attività come queste creano dei ponti di comunicazione tra i pazienti e la struttura, che non si confronta con loro semplicemente nei termini di medicina e di cura ma con i quali si stabilisce anche un rapporto diverso». Una presenza rasserenante, dunque, che in futuro potrebbe muovere i primi passi, o meglio le prime zampe, anche nel reparto di medicina riabilitativa.

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