Forlì, spogliatoi in azienda separati tra italiani e stranieri

Cesena

Uno spogliatoio usato da lavoratori tutti italiani e un altro da tutti i loro colleghi stranieri, all’interno della stessa azienda. È la scena decisamente insolita che ha lasciato di stucco un sindacalista, che se l’è sentita raccontare candidamente dall’imprenditore che guida la “Plasfor”, ditta forlivese specializzata in verniciature protettive. «Un’anomalia» dietro cui Cristian Pancisi, rappresentante della Femca Cisl, intravede, se non una discriminazione razziale, come minimo un «fallimento del modello di integrazione tra i vari lavoratori che sarebbe auspicabile». E perciò annuncia che chiederà all’imprenditore Claudio Conficoni di «adoperarsi per superare quella separazione assurda» e promette: «Andremo fino in fondo e, se non troveremo la sua collaborazione per cambiare, siamo pronti a battere anche altre strade».
L’organizzazione “particolare” dei locali dove i 20 dipendenti si cambiano a inizio e fine turno è venuta alla luce nel contesto di una vertenza sindacale. Lo scorso settembre un frequentatore della moschea contrasse il Covid. Gli altri musulmani che avevano frequentato lo stesso luogo di preghiera in quei giorni furono invitati dall’Ausl a sottoporsi precauzionalmente al tampone. Circa 50 dei 200 contattati lo fecero e tra di loro c’era un giovane lavoratore della “Plasfor”, ma il giorno dopo si recò al lavoro senza avvisare che era in attesa del risultato del test, che di sera risultò positivo. Per quella omoissione il ragazzo ricevette un provvedimento disciplinare e di fronte al rischio di licenziamento ventilato si aprì una vertenza. Durante i contatti tra il rappresentante della Cisl e il datore di lavoro, il secondo ha riferito che nella sua azienda «ci sono spogliatoi per i bianchi e per i neri». Quelle parole sono state fatte presenti durante il successivo arbitrato presso l’Ispettorato del lavoro, alla presenza di un avvocato e di un consulente del lavoro dell’azienda, che hanno ribattuto che gli spoglatoi separati sono «un favore fatto ai dipendenti per lasciare loro uno spazio per pregare». Questa versione viene ribadita dall’imprenditore, che respinge ogni sospetto di razzismo: «La divisione degli spogliatoi tra italiani e stranieri - dice - non è imposta da me, ma è stata una scelta fatta dai lavoratori, per fare in modo che i musulmani abbiano un loro luogo dove potere pregare durante la pausa che ho concesso per venire incontro alle loro esigenze». Poi aggiunge che comunque «le docce sono in comune». Quanto alla vertenza, rivendica che è stata «l’unica che ho dovuto affrontare in 25 anni» e si è risolta in «un provvedimento di sospensione dal lavoro per una sola giornata».

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