Forlì, lavoro in carcere: collaborazioni rinnovate per tre anni

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I detenuti del carcere di Forlì continueranno a lavorare. Non tutti, «perché purtroppo non è possibile dare questa opportunità all’intera comunità dei reclusi», ammette amaramente e sinceramente Palma Mercurio, la direttrice della casa circondariale che ancora oggi sorge all’interno della rocca di Ravaldino. Quello celebrato ieri tra le mura della palestra del carcere è però comunque un giorno di festa: è stato sancito il rinnovo dei tre protocolli per i laboratori produttivi interni ed esterni all’istituto. Tutti i 39 soggetti che intervengono nella realizzazione delle iniziative laboratoriali hanno apposto la firma agli atti. Per altri tre anni alcuni (fortunati) detenuti continueranno a essere parte attiva e integrante del laboratorio Altremani, che si occupa di assemblaggio e saldatura, e di quello di cartiera, nominato “Manolibera”. Attività lavorative che impiegano le persone ristrette tra le mura del carcere con tirocini o con autentici contratti di lavoro subordinato, percependo una somma a titolo di stipendio, tutti coordinati da Techne, agenzia formativa pubblica di proprietà dei Comuni di Cesena e Forlì.

«Non facciamo finta che vada tutto bene». La direttrice Mercurio va al sodo: «Le condizioni di detenzione, dal punto di vista strutturale, da noi sono dure. L’edificio è vecchio, le celle sono piccole e umide, gli ambienti non a norma. Forse solo in Sicilia si possono trovare altre carceri in queste condizioni: addirittura, le celle che confinano con le docce dovrebbero restare vuote. Lì le tubature sono ammalorate, e in certi periodi le pareti si riempiono di muffa, da alcuni lavandini interni alle stanze esce solo acqua fredda». «Queste celle - spiega emozionata ed accorata la direttrice - normalmente restano chiuse. Ma quando ci sono molte persone siamo costretti a utilizzare anche quelle. È brutto ma è la realtà, non possiamo nasconderlo». Se è vero che sono le condizioni peggiori a rendere le cose straordinarie, Mercurio infonde però passione ed energia nel dire che «pur stando malissimo dal punto di vista strutturale, ai detenuti qui sono assicurate buone condizioni di vita, a loro rivolgiamo sempre uno sguardo umano: teniamo presente che le loro storie sono tutte diverse, che tutti hanno un trascorso, ma che tutti meritano il riscatto. Riscatto che spesso è dato proprio dal lavoro, così decisivo nel reinserimento nella società». A seguire il percorso di “riabilitazione”, aggiunge la direttrice, «entro la fine del 2022 dovrebbero esserci anche due educatori in più». Personale aggiuntivo utile anche a fronteggiare le problematiche legate alla presenza sempre maggiore di «persone dipendenti da sostanze o con problemi psichiatrici».



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