Ravenna, la storia: sette donne e bambine accolte da due anziani

Ravenna

Olena e Laura. Un’amicizia nata quando la prima, dall’Ucraina, era venuta a Ravenna per lavorare come colf per poi tornare a casa, a Leopoli. Non appena la guerra ha trafitto tutto il Paese si sono sentite al telefono e la richiesta di aiuto non è caduta nel vuoto. Laura, 80 anni, e il marito Mario, di 85, hanno deciso di aprire la porta della loro casa a Ponte Nuovo. Con Olena, hanno accolto in tutto sette donne, tra le quali tre minorenni di 10, 14 e 15 anni, raggruppatesi dopo avere abbracciato figli e mariti, fuggendo poi a piedi dalle bombe per raggiungere dopo quattro giorni di cammino la Polonia, e da qui l’Italia. Ora sono tutte in quarantena, passaporti in mano e lo sguardo di chi ha conosciuto l’orrore dell’invasione e teme di non poter più tornare a casa.

La fuga da Leopoli

C’è la signora Laura dietro un “piano di fuga” iniziato due settimane fa che ha coinvolto tre nuclei familiari. «Olga - racconta - è stata tre anni in casa mia, siamo rimaste amiche e ci siamo sempre telefonate. Quando ho visto quel che stava succedendo l’ho chiamata». La risposta di Olga le ha fatto gelare il sangue, «siamo attaccati da tutte le parti». Così si è offerta di ospitarla, con la figlia e la nipote. E a quel punto sono state loro a chiedere aiuto anche per le altre quattro donne, la vicina e la rispettiva nuora con le figlie adolescenti di entrambe. «Le ho suggerito di mettersi in contatto con la Croce Rossa una volta arrivate in Polonia - prosegue Laura - di dire che volevano andare a Ravenna, ma l’unica assistenza che le hanno offerto è stato il campo profughi al confine».

Il viaggio a proprie spese

Si sono dovute pagare tutte il viaggio della speranza. Una fuga che le ha portate in treno fino a Venezia, poi a Bologna e infine a Ravenna, col terrore di non poter tornare indietro: «Quando sono arrivate erano distrutte. Non volevano dichiararsi profughe perché avevano sentito dire che nel caso le avrebbero tolto il passaporto impedendo loro di andarsene - rivela Laura -. Non vogliono restare per sempre in Italia anche se sono consapevoli che là la situazione è drammatica». Anche perché in Ucraina hanno lasciato padri e mariti. «Il figlio di Olga è responsabile di un’importante centrale elettrica», cosa che aggiunge ansie all’amica. Da una settimana le nuove ospiti vivono in un immobile adiacente a casa dei due coniugi, isolate, perché la più anziana del gruppo è risultata positiva al Covid. «Mi aiutano a fare lavori domestici. Comunichiamo con il traduttore del telefono perché solo Olena parla italiano». In sette giorni Laura ha fatto di tutto per sbrogliare i passaggi burocratici: questura, passaporti, domanda per l’ospitalità. Non si dà pace e pensa che gli aiuti messi in campo non bastino: «Mi hanno chiesto addirittura la planimetria della casa quando ho spiegato che ricevevo sette persone. Io avrò fatto anche una bella cosa io ma le istituzioni per me potrebbero fare di più». FED.S.

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