Forlì, la bioeticista Silvia Camporesi espatriata a Londra

Silvia Camporesi è una bioeticista, laureata all’Università di Bologna, forlivese. Dal 2010 vive a Londra dove ricopre il ruolo di professore associato - a tempo indeterminato - in Bioetica al King’s College. Il suo desiderio? Tornare in Italia e dare il suo contributo al Paese e alla sua città natale, dove è attivo il Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia dell’Alma Mater Studiorum.

Perché ha deciso di diventare bioeticista?

«Ho sempre avuto una passione per la biomedicina e la scienza. Ho iniziato il mio percorso di studi con biotecnologie mediche all’Università di Bologna, Facoltà di Medicina e Chirurgia. Quando mi iscrissi il corso di laurea era al primo anno di attivazione. Le prospettive all’inizio degli anni 2000 erano entusiasmanti in questo contesto pensando alle possibili applicazioni della ricerca in campo oncologico, cardiologico, neurologico».

Un percorso, quello di bioetica, interdisciplinare?

«Esattamente, grazie anche all’educazione interdisciplinare che mi forniva il Collegio superiore dell’Alma Mater, sentivo la necessità di confrontarmi con le questioni etiche e sociali sollevate dai grandi avanzamenti nella biomedicina e biotecnologie, per esempio le cellule staminali, la terapia genica, le neuroscienze».

E dopo la tesi specialistica è stato il momento del dottorato.

«Ho avuto la grande fortuna di trovarmi al posto giusto nel momento giusto: proprio mentre completavo il mio percorso di laurea specialistica con una tesi al Centro internazionale per le Biotecnologie di Trieste nel 2006, veniva inaugurato un nuovo dottorato all’Istituto europeo di oncologia, in collaborazione con l’Università statale di Milano. Questo dottorato (Folsatec, Foundations of Life Sciences and Ethics) era il primo e tuttora unico nel panorama italiano che, in inglese, univa una formazione in scienze delle vita e fondamenti di etica e epistemologia e forniva una preparazione sia pratica sia teorica sulle implicazioni etiche e sociali della stessa. Sono stata una dei primi quattro allievi del nuovo dottorato, dottorandomi nel 2010 con una tesi sui trial clinici in oncologia e sulla sperimentazione del farmaco sull’uomo».

Dal percorso di studi in Italia è andata poi a lavorare a Londra. Una scelta fatta a cuor leggero o obbligata?

«Purtroppo è stato un percorso obbligato, quando ho completato il dottorato mi sarebbe piaciuto molto rimanere a vivere a Milano. Era una città dove avevo abitato quattro anni e che mi piaceva. Invece all’epoca – era il 2010 - non c’erano sbocchi lavorativi di post-dottorato e siamo stati tutti incoraggiati a cercare all’estero. Allora sembrava la cosa più naturale, e la vivevamo come una cosa temporanea, invece poi siamo rimasti all’estero a vivere tutti».

E poi come è andata?

«C’è stato chi tra noi è andato nel Regno Unito, chi nei Paesi Bassi, chi negli Stati Uniti, chi addirittura a Singapore/Hong Kong. Io a Londra sono arrivata nel 2010 con una borsa del Wellcome Trust che finanzia la ricerca in ambito biomedico e sociale, poi nel 2013 ho vinto un posto come Lecturer (equivalente di ricercatore universitario di tipo B) nel Dipartimento di scienze sociali, salute e medicina del King’s College a Londra. Dal 2018 sono professore associato di bioetica e discipline umanistiche della Medicina Bioethics & Medical Humanities».


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