Forlì. L’argine rotto dell’Ausa fa ancora paura

«Perché non sono ancora partiti i lavori per chiudere l’argine rotto dell’Ausa?», è questa la domanda che assilla i residenti di via della Croce. Un intervento-tampone è stato fatto, creando un tappo di terra a diverse centinaia di metri dal torrente ma sull’argine ancora non è stato fatto alcun intervento di ripristino e questo non aiuta i residenti a sentirsi sicuri. Via della Croce è una di quelle zone di confine, scendendo dalla via Emilia il lato destro è comune di Forlì, il lato sinistro invece è Forlimpopoli. Ci vivono 9 famiglie, tutte duramente colpite dall’alluvione: qui molti hanno subito danni ingentissimi, in tanti hanno temuto seriamente per la loro vita e tra la notte del 16 e la mattina del 17 sono stati portati in salvo chi in elicottero, chi in gommone. Qualcuno di loro sta tornando e vogliono potersi sentire sicuri.

Traditi dall’Ausa

L’acqua qui non è arrivata dal Ronco, ma dall’Ausa, un suo affluente, uno di quei canali secondari che in estate diventano rigagnoli. Non lontano da loro ci sono delle vecchie vasche di decantazione dell’ex zuccherificio, che oggi funzionano come casse di espansione e che anche il 16 maggio stavano assolvendo al loro compito. Ma verso sera, mentre il Ronco era già gonfio e impetuoso, ha ceduto l’argine destro dell’Ausa in prossimità del punto di immissione, a quel punto il Ronco si è infilato «contromano» nell’Ausa allagando tutto l’area attorno. L’acqua si è incanalata lungo uno dei canali che fiancheggiano le casse di espansione sbucando con tutta la sua potenza, carica di fango e detriti proprio davanti alla sede della ditta Giovane Strada.

Tre metri in più

«È arrivata dritta contro gli uffici, travolgendo la cancellata, riempiendo tutto fino a 3 metri e settanta», racconta Annibale Tampellini, il titolare della Giovane Strada, ditta storica («quest’anno compiamo 50 anni») da 6 milioni di euro di fatturato che realizza strade. Lui era uscito da venti minuti quando l’acqua è arrivata, «altrimenti facevo la fine del topo», commenta. Tampellini racconta di essere stato previdente. «Pensavo di essermi preparato al peggio. Negli anni Sessanta qua ci fu un’altra alluvione e io avevo ben presenti i racconti di mio padre. Così ho spostato i camion dove mi aveva raccontato che l’acqua non era arrivata. Peccato che tra quei racconti e quello che è successo ci siano stati 3 metri d’acqua di differenza. Ho perso 12 camion su 15».

La ripartenza

Qui tutti stanno cercando di ripartire. Tampellini a un mese dall’alluvione è riuscito a tornare sui cantieri: «Siamo stati fermi un mese, e anche adesso non siamo al 100% e questo per noi è un periodo cruciale, quello in cui lavoriamo di più». In questo mese in realtà non è stato fermo. I dipendenti non hanno fatto cassa integrazione, ma sono andati a pulire, regolarmente pagati, «straordinari compresi», dice con orgoglio. E l’orgoglio è ben motivato se si guardano agli effetti di quel lavoro. È quasi surreale, guardando il piazzale e il capannone lindi, pensare che il primo sopralluogo lo ha fatto in barca e che quando l’acqua è andata via c’era mezzo metro di fango ovunque. Stima dei danni? «Tra 1,5 e 2 milioni di euro». La ripartenza è complicata: «Alle imprese ora serve liquidità», spiega. Sono le stesse cose che ha detto anche al ministro Adolfo Urso, quando ha visitato la sua azienda.

Servono volontari

Cercano di ripartire anche i privati cittadini: «Ma se non ci fosse stata questa disgrazia ci saremmo mai trovati qui tutti insieme a mangiare?», si chiedono mentre a tavola condividono i pasti portati dai volontari di Forlimpopoli. È il senso di comunità ritrovato quello che di positivo raccontano di questa esperienza tanto traumatica. La solidarietà l’hanno ricevuta da tutti, ma anche qui di volontari se ne vedono meno e il lavoro da fare è ancora tanto: la melma portata dal fiume ancora ristagna maleodorante nei giardini, nelle case c’è tanto da lavare. Loro sono di spirito forte e di indole accogliente: «Ogni aiuto è ben accetto, c’è ancora tanto da fare».

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