Forlì, il Covid e gli effetti neurologici

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La vaccinazione come strumento per proteggersi dall’infezione da Sars-Cov-2, per difendersi dagli effetti più gravi che il Covid può arrecare, ma anche come scudo alle conseguenze che l’infezione può procurare non solo a livello polmonare, ma anche neurologico e neuromuscolare.

A due anni dall’inizio della pandemia, è ormai assodato che il virus ha effetti, anche a lungo termine, che vanno ben oltre quelli arrecati alle vie respiratorie, ma come spiega il dottor Marco Longoni, direttore della Neurologia di Forlì e Cesena, «la risposta all’infezione cambia non solo sulla base della maggiore o minore aggressività delle varianti, ma anche della protezione immunitaria dei soggetti: ci sono differenze tangibili tra chi è vaccinato e chi non lo è».

Si è notato durante il 2021, sta accadendo anche ora con Omicron ormai prevalente. «Sotto questo aspetto è più una percezione da vita di corsia, ma le complicanze neurologiche appaiono meno incidenti – afferma Longoni –. Aspettiamo di poterlo misurare scientificamente, se fosse così lo scenario sarebbe cambiato. Vuoi per la mutazione del virus, vuoi per la platea sempre più immunizzata di popolazione, la risposta infiammatoria dell’organismo di quest’ultima è meno tumultuosa, più organizzata e, quindi, causa meno danni al sistema nervoso centrale e periferico».

Sì, perché sinora l’impatto dell’infezione a livello neurologico è stato un caso di studio. Molta gente, anche guarita, palesa patologie come effetto collaterale o strascico del Covid.

«Questo perché il corpo sviluppa sia una risposta immunitaria, sia una infiammatoria che colpisce sia il virus sia i tessuti: è una sorta di meccanismo di patologia autoimmune. A volte la produzione di queste molecole infiammatorie è abnorme o sbaglia bersaglio e colpisce i nervi. È rarissima la replicazione del virus dentro il sistema nervoso centrale, ad essere dannoso è ciò che si scatena».


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