Forlì, la segretaria della Cgil Maria Giorgini: "Una donna guadagna 8mila euro in meno di un uomo"

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«A conti fatti, nella nostra provincia una donna guadagna in media 8mila euro lordi in meno rispetto a un uomo, il 33%». Nella Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, Maria Giorgini, segretaria generale di Cgil Forlì, concentra l’attenzione su uno degli aspetti determinanti nel segnare l’indipendenza di una donna, quello economico e lavorativo. Oltre a guadagnare di meno rispetto ai colleghi maschi, «le incombenze legate alla cura dei figli, della casa e degli altri familiari, per il 75% addossate alle donne, insieme all’assenza o all’insufficienza dei servizi che accompagnino i bambini nel doposcuola, sono causa di licenziamento da parte delle donne». Sono proprio i dati a dimostrare che, ancora oggi, anche in Emilia Romagna «il retaggio culturale della donna che si occupa dei figli e della casa, relegata tra le mura domestiche, è ancora diffuso». «La scelta di rinunciare al lavoro, però - sottolinea Giorgini - a volte è dettata dal fatto che non ci sono servizi pomeridiani a cui affidare i bambini, soprattutto per la fascia di età superiore ai sei anni, ma lo stesso vale anche per i ragazzini delle medie. Ecco perché, come associazione sindacale, ci battiamo molto per l’istituzione di attività di questo tipo». La presentazione delle dimissioni, infatti, è connessa spesso anche all’entità della paga percepita dalla donna. «Se lo stipendio è basso- sottolinea Giorgini - a volte le donne preferiscono rinunciare al lavoro, piuttosto che pagare la baby sitter, indispensabile se non ci sono nonni o servizi a cui affidare i bambini».

Il gender pay gap

La differenza di stipendio tra uomo o donna, il cosiddetto “gender pay gap”, spiega la sindacalista Giorgini, «non ha niente a che vedere con il contratto collettivo nazionale, che ovviamente non fa differenze tra uomo e donna, ma risente di tutti quegli extra, tra cui rientrano anche gli scatti di carriera, gli straordinari, il fatto di non avere contratti part time, che poi si riflettono anche sulla tredicesima, la quattordicesima e il premio di produzione, per una retribuzione complessiva che alla fine dell’anno è più alta per gli uomini». Anche il part time, infatti, quando non concordato tra datore di lavoro e lavoratrice, è fonte di disagio. «Il 67% delle donne che ha un contratto part time afferma di non volerlo» riferisce la sindacalista. Lavorare “mezza giornata”, infatti, «può essere utile se aiuta a conciliare lavoro e vita quotidiana, ma se è imposto è un problema». Un problema che a detta della segretaria di Cgil è connesso direttamente alla violenza. «Il part time è pagato meno, quindi mina l’autonomia economica. - afferma Giorgini - Nei centri antiviolenza le donne denunciano di non essere in condizione di liberarsi dal rapporto con il marito perché non hanno soldi o non possono mantenersi autonomamente. Ragion per cui riteniamo che il reddito di libertà, quello rivolto alle donne che denunciano violenze domestiche, debba essere aumentato rispetto ai 400 euro attuali».

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