Caldo e siccità rischiano di uccidere le api. La scarsa disponibilità di nettare, infatti, costringe gli apicoltori ad un’alimentazione di soccorso poiché i preziosi insetti, a causa delle estreme condizioni climatiche che limitano la disponibilità del nettare, non riescono più a costituire le proprie scorte naturali rischiando di non avere cibo a sufficienza per superare l’inverno. «Fino a 3 anni fa – spiega Loredana Barbieri, tecnico dell’associazione Forlivese Apicoltori, società cooperativa che raggruppa 350 apicoltori nelle province di Forlì-Cesena e Rimini – non abbiamo mai ricorso all’alimentazione di soccorso. Se non cambiano le condizioni climatiche, ci troveremo invece a doverle alimentare per farle sopravvivere».
La mancanza di piogge (per fortuna interrotta proprio in questi giorni) e la canicola, rischiano, dunque, di far morire di fame le api che, nel comprensorio forlivese alla fine del 2021 contava 10.096 alveari secondo i dati forniti da Claudio Romboli, direttore Ausl di sanità animale e igiene delle produzioni zootecniche di Forlì-Cesena. «Per il terzo anno consecutivo – continua Barbieri – ci ritroviamo con delle produzioni fortemente in calo dovute, soprattutto, al clima che cambiando ha influenzando negativamente le fioriture. Se queste, nella normalità, dovrebbero durare 15-20 giorni, oggi i tempi sono molto ristretti per cui le api hanno minor tempo per raccogliere il nettare. Quest’ultimo, in più, è vittima della siccità che ne limita la quantità».
Per questa ragione, l’apicoltore è costretto a somministrare uno sciroppo zuccherino o candito proprio per sopperire alla scarsità di nettare. «Il problema ulteriore – aggiunge Barbieri – è che mancando il nettare, oltre all’alimentazione di supporto, dobbiamo somministrare alle api anche integratori. Esattamente come accade per noi umani, anche questi insetti per sopperire alle carenze hanno bisogno di essere integrati con sostanze proteiche più simili al polline». Una situazione davvero difficile per il settore che, anche quest’anno, vedrà una produzione di miele bassa. «Davvero scarsa è la quantità di miele di tiglio, prodotto tipico della nostra zona. A Forlì, sopratutto lungo la via Lughese ci sono tantissime piante ma quest’anno gli afidi hanno prodotto la melata. Il risultato è che la quantità di miele monoflorale di questa pianta è davvero pochissimo. Dove è andata bene, la raccolta è stata di 7/8 chili per alveare».
Situazione migliore per il miele di acacia che, dopo due anni in cui è scarseggiato a causa delle gelate tardive primaverili che ne hanno bruciato i fiori, quest’anno tocca quota 8/10 kg per alveare. Il caldo ha frenato anche la produzione di miele di coriandolo e di castagno penalizzati dalla durata ridotta della fioritura. «Abbastanza buona la produzione di millefiori nelle zone di mare, dove si sono raccolti 12/15 kg per alveare mentre in collina o montagna è stata quasi a zero e ci sono zone in cui si è dovuto intervenire con l’alimentazione di soccorso per evitare che le api potessero morire. Ci sono situazioni abbastanza preocccupanti». Difficoltà oggettive che, tuttavia, non si ripercuoteranno sulle tasche dei consumatori. «I prezzi, nonostante tutto, saranno in linea con quelli degli altri anni. Ai nostri associati consigliamo di vendere il miele di acacia a 15 euro al kg, 10 euro il millefiori mentre i monoflora tra gli 11 e i 12 euro al kg a seconda del miele».