La fine di un lavoro: il cronista di giudiziaria

Editoriali

Tra le tante riflessioni sulla crisi del giornalismo e dell’informazione credo valga la pena anche dedicare un minuto alla commemorazione di una figura professionale: il cronista di giudiziaria. È un ruolo che non ho mai ricoperto, ma da trent’anni lavoro fianco a fianco con i colleghi che si occupano di cronaca giudiziaria. E condivido perciò la loro giornata lavorativa.

La mattinata nei corridoi del tribunale, la rincorsa di un avvocato, l’attesa davanti alla porta dell’ufficio di un magistrato in attesa di potergli parlare, senza considerare le ore seduto in mezzo al pubblico per assistere ad un processo. E poi spesso un intero pomeriggio al telefono o in giro alla ricerca di verifiche, conferme o smentite su quanto appreso. Un’intera giornata di lavoro spesso anche per confezionare solo un breve articolo, o addirittura per doverlo posticipare al giorno dopo in attesa di ulteriori verifiche. In attesa di poter pubblicare una notizia cercata, trovata e verificata. E un minuto dopo la pubblicazione muore il cronista di giudiziaria. Non serve più al mondo dell’informazione. Finisce in mano ai nuovi predoni del web, dilaniato, depredato. Basta il semplice “copia incolla” di un qualunque collaboratore di un sedicente sito di informazione per appropriarsi del suo lavoro e spacciarlo come proprio. Qualcuno, in un rigurgito di coscienza, annota: “come riportano alcuni quotidiani”. Una magra consolazione, ma almeno una sorta di necrologio per il cronista di giudiziaria.

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