Femminicidio della riminese. La Gip: ha deciso di "eliminarla"
Non c’è nessun dubbio sulla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza. Così scrive il tribunale di Lecce, nell’ordinanza di convalida del fermo di Salvatore Carfora, che quindi resta in carcere. Forte è infatti il timore degli inquirenti che l’assassino reo confesso di Sonia Di Maggio, se rimesso in libertà, possa compiere crimini analoghi a quelli di cui si è già macchiato. A rischio, soprattutto, c’è Francesco Damiano, il nuovo compagno della ex, che la sera dello scorso lunedì ha assistito impotente all’uccisione della 29enne riminese. In uno dei tanti messaggi di minaccia inviati alla nuova coppia, Carfora aveva definito Francesco e Sonia “due morti che camminano”.
La violenza e gli atteggiamenti intimidatori, del resto, sono risultati essere una costante nella linea comportamentale di Carfora. Le indagini hanno appurato che erano stati proprio i maltrattamenti, le botte, e i pugni ad aver spinto Sonia a lasciarlo e a cercare rifugio a in Puglia. Interrogato, Carfora dirà invece che era per lui «inaccettabile» che la donna lo avesse abbandonato «nonostante negli ultimi due mesi - è scritto nell’ordinanza - non l’avesse più percossa». Una cicatrice ancora ben visibile nel sopracciglio destro di Sonia testimonia invece - scrive la Gip Giulia Proto nel dispositivo con cui ha convalidato l’arresto - che un pugno in faccia le era stato rivolto ben più recentemente. Oltre alle almeno 25 coltellate, l’autopsia ha rivelato infatti i segni delle violenze pregresse, gli ematomi e le cicatrici di botte e violenze più vecchie, conseguenza diretta di quella «gelosia» e «possessività» di cui ben prima del delitto la stessa Sonia si era resa conto.
A Rimini dalla mamma
Gelosia «ossessiva», così come è definita negli atti, che pochi giorni dopo il 27 dicembre, quando Sonia se ne andò da Napoli, aveva spinto Carfora a mettersi in marcia verso Rimini, per raggiungere la mamma della ex, determinato a rintracciare la figlia. Come raccontato nell’interrogatorio in carcere, quando il campano ha ripercorso con «lucida freddezza, senza scomporsi, senza un’emozione, senza un minimo di pentimento», per Carfora, Sonia era un oggetto di «sua proprietà». Di lui o di nessun altro, tanto da organizzarne «l’eliminazione», scrive ancora la Gip. Giunto a Rimini, però, Carfora aveva trovato solo la mamma, dalla quale, come è scritto negli atti, «aveva trovato il numero di Francesco Damiano, apprendendolo mentre la madre di Sonia lo comunicava al padre».Sentita dagli inquirenti, la madre aveva inoltre raccontato, come è affermato nell’ordinanza, che «Sonia, quando era fidanzata con Carfora, le aveva raccontato della gelosia morbosa del compagno, sfociata più volte in condotte violente».