Fellini e il rapporto difficile con tre grandi giornaliste

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Ognuna di loro è stata, con un proprio stile, “signora” e “maestra” del giornalismo italiano. Ognuna di loro ha incontrato, ne è divenuta amica (o “nemica”), ha scritto, di Federico Fellini. Tre grandi giornaliste, Camilla Cederna, Oriana Fallaci, Lietta Tornabuoni. Le loro pagine sul cinema di Fellini restano ancora oggi tra le più degne di attenzione. Ne scrissero con acume, ingegno, profondità. Non sempre da “amiche”, come è stato ad un certo punto il caso di Oriana Fallaci.

Quel bisticcio con Oriana Fallaci

Il primo incontro tra Oriana Fallaci e Federico Fellini, come raccontò lei stessa, avvenne a New York nel 1957 in occasione della «prima americana del suo film Le notti di Cabiria e diventammo un po’ amici».

Di quell’incontro – durante il quale Fellini le avrebbe addirittura chiesto di accompagnarlo a comprare completini intimi da portare in Italia alla moglie Giulietta – Fallaci scrisse una prima volta in una delle sette puntate del servizio intitolato “Dietro le quinte di Cinecittà”, un affresco sul cinema italiano che il settimanale L’Europeo pubblicò tra l’ottobre e il novembre del 1958.

Cinque anni dopo quel primo incontro, però, i rapporti tra i due si guastarono. Il casus belli fu una intervista che la futura grande inviata di guerra, scomparsa nel 2006, fece nel 1963 a Fellini per L’Europeo, una chiacchierata intorno all’uscita di 8 ½ che la giornalista ottenne dopo una serie di “sòle” (come si dice in romanesco) e che fu pubblicata sul numero del 17 febbraio di quell’anno. A quanto pare non risultò gradita a nessuno dei due. «L’intervista meno genuina di tutta la serie» la definì Fallaci nel libro Gli antipatici, raccolta di diciotto interviste e conversazioni che la giornalista ebbe in quel periodo con attori, registi, musicisti, scrittori (tra gli altri, oltre a Fellini, Ingrid Bergman, Nilde Iotti, Natalia Ginzburg, Alfred Hitchcock).

«Io gli volevo bene davvero a Federico Fellini. Dopo quel tragico incontro gliene voglio assai meno, ho anche smesso di dargli del tu» scriverà ancora Fallaci, dimenticando senza colpo ferire quell’amicizia sbocciata cinque anni prima negli States, quando «andavamo spesso a mangiare le bistecche da Jack's o le caldarroste in Times Square dove si poteva anche sparare al tirassegno».

Ma che era successo? Basta leggere il testo del colloquio tra i due per cogliere il tono della chiacchierata. La giornalista, che aveva registrato con il magnetofono, cercò di riportare alla lettera, anche se a suo dire poi Fellini pare avesse voluto rileggere e rivedere quasi tutto. Ma tant’è. L’attacco di lei è sarcastico («Allora, facciamoci coraggio, signor Fellini, e parliamo di Federico Fellini: tanto per cambiare. Le costa fatica, lo so: lei è così schivo, così segreto, così modesto»), e del film, nonostante dichiari le sia piaciuto, dice di averlo trovato «triste», con «tutti quei vecchi, tutti quei preti, quell’aria di disfacimento e di morte...».

Le risposte del regista sono infarcite di ironici «tesorino mio», «disgraziata, screanzata, ballista»… E dire che nel merito, quel servizio malignamente intitolato “Il peccatore insoddisfatto”, resta uno tra i più interessanti scritti intorno al film in quel periodo.

Su quell’intervista Fellini volle tornare, in una lettera di leggiadra reprimenda al giornalista Indro Montanelli che ne aveva ripreso dei passaggi. Con lui rimase amico, l’altra la liquidò definendola «un’isterica furbetta». «Ciò che ha scritto è tutto falso – si lamentò con Montanelli – e ciò che mi è dispiaciuto è che tu abbia citato nel tuo pezzo la sua intervista con me, proponendola come una fulminante ed esattissima spettroscopia del sottoscritto».

Cederna, quasi una psicanalista

«Quando sono con te, mi par d’andare in giro con lo psicanalista»: così le diceva Federico Fellini. «E per me andava benissimo che la pensasse a quel modo» confessò Camilla Cederna, la signora del giornalismo italiano, redattrice dell’ Europeo dal ’45 al ’55, poi passata come inviata al concorrente L’Espresso dove fu peraltro celebre la sua rubrica di costume “Il lato debole”. Classe 1911, inizia a scrivere nel 1939 e se la moda è il tema che la fa esordire nel giornalismo, saranno anche la politica e le grandi storie dell’attualità, insieme al costume, alla cultura, a farne una grande firma. Rivale di Oriana Fallaci (non si risparmiarono frecciate e freddure), anche Camilla Cederna entra nella cerchia di giornalisti che seguono e raccontano Federico Fellini, dopo il successo de La dolce vita ormai una celebrità su cui la stampa punta ad anticipare ogni mossa e passo.

Nell’ottobre del 1960 Camilla Cederna è incaricata di «scrivere cinquanta cartelle su di lui per L’Espresso-Mese». Iniziano lunghi viaggi in automobile con il regista, prima sulla «sua vasta automobile foderata di pelle color crema», poi «nella sua successiva automobile, altrettanto vasta ma foderata di pelle rossa». Con lei, in quelle chiacchierate che sembravano sedute psicoanalitiche, Federico Fellini metteva a fuoco quello che sarà il suo successivo capolavoro, .

Il racconto di quelle “sedute” in automobile diventerà il testo introduttivo al libro che alla pellicola fu dedicato nella collana “Dal soggetto al film”, ideata per l’editore Cappelli dal critico e cineasta bolognese Renzo Renzi.

Quel legame particolare con il regista permetterà a Cederna di entrare spesso sul set e raccontare il farsi dei film del maestro. Come farà nel 1962 con il lungo servizio intitolato “L’astronave di cemento”, un dettagliato reportage sulla lavorazione di sulla cui trama vigeva ancora riserbo. Continuerà a farlo anche in seguito. Su L’Espresso colore, il primo settembre 1968 un lungo servizio racconta la preparazione e i provini del film Satyricon, con numerose foto (del fotografo Franco Pinna) e intervista a Fellini che aveva fatto avere alla rivista anche propri disegni.

Quando scriveva Tornabuoni

Storica e indimenticata firma del quotidiano La Stampa, nata nel 1931, di Lietta Tornabuoni ricorreranno a gennaio i dieci anni dalla scomparsa. L’ha ricordata lo scorso 22 novembre, con un incontro su Youtube che ha visto come protagonista l’amica giornalista Natalia Aspesi, il Torino film festival. Per l’occasione è stato presentato il volume Quando scriveva Lietta realizzato dal Museo Nazionale del Cinema in collaborazione con La Stampa, che raccoglie alcuni dei suoi articoli più rappresentativi. Il primo, proprio dedicato a Federico Fellini. Era il 10 maggio del 1974: aperto il ventisettesimo Festival di Cannes. Un gala per Fellini. «Belle donne, mondanità, produttori americani alla proiezione di Amarcord – Il regista partecipa alla sua serata con distacco – Sta già pensando al film su Casanova» recitavano i titoli del sommario. «Per me Amarcord è ormai come un libro già letto, come un amico che se n’è andato – confidava il regista a Lietta Tornabuoni –. Lo sento remoto, non mi interessa più».

In Fellini, volume pubblicato da Rizzoli nel 1995, Lietta Tornabuoni pubblicherà una serie di soggetti inediti del regista: “L’inferno”, “L’attore”, “Venezia”, “Mandrake”.

«Lietta aveva un grande fiuto e mi trascinava sempre a vedere autori quasi sconosciuti o opere improbabili, non apparteneva alla superba casta dei critici, che noi, croniste multiuso, prendevamo un po’ in giro per la loro sapienza» la ricorda Natalia Aspesi nel libretto del Museo Nazionale del Cinema.

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