Fellini e gli anni 70 nel libro di Bassano

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È il decennio che per Federico Fellini arriva dopo quello d’oro degli anni Sessanta, quello dei capolavori La dolce vita e 8 ½, della grande ribalta per il regista riminese. Gli anni Settanta e Fellini sono al centro di Fellini 70 (Bibliotheka Edizioni, 2021), volume realizzato da Nicola Bassano, storico del cinema e dal 2014 in forza alla Cineteca del Comune di Rimini dove si occupa, tra le altre cose, dell’Archivio Federico Fellini. L’autore ne parlerà oggi pomeriggio in Cineteca (ore 17.30), insieme a Gianfranco Miro Gori, per l’ultimo appuntamento della rassegna Fellini in stampa. Un nuovo punto di vista, un ulteriore sguardo, nella grande galassia felliniana, enorme cilindro da cui estrarre racconti e curiosità (che nel libro di Bassano non mancano), come lava e lapilli che continuano a sgorgare e a far luce sul genio.

Quello degli anni Settanta, per Fellini, è il decennio dei film che si agganciano con insistenza alla memoria dell’infanzia, alla «infanzia magica», che il regista riminese «descrive e rielabora in immagini» attraverso «un dialogo costante con il ricordo, e attraverso il ricordo con gli aspetti più “irrazionali” della memoria» scrive Bassano. Una riflessione sui «miti del suo passato» che Federico Fellini compie quasi fosse un unicum attraverso i primi tre film realizzati negli anni Settanta: I clowns (1970), Roma (1972) e Amarcord (1973). Il decennio, che si chiuderà con Prova d’orchestra (1979), è anche quello in cui Fellini girerà quel grande capolavoro che sarà Il Casanova di Fellini (1976), e nel quale è giusto includere, come fa Bassano, anche La città delle donne, cui del resto il regista riminese aveva iniziato a pensare già nel 1977 (il film uscirà nel 1980).

Bassano, perché la scelta degli anni Settanta?

«In realtà sono partito proprio da una riflessione sul decennio degli anni Settanta, tema che mi interessa in generale. Sono partito cioè dalla riflessione che quel decennio ha influenzato vari tipi di linguaggi artistici, non solo il cinema. Dalla musica alle arti figurative, le spinte di cambiamento che ci sono state in quel periodo sono tante. C’è stata un’esplosione, un rinnovamento del linguaggio artistico».

In quel contesto, come si ricorda nel libro, il cinema italiano ha vissuto una stagione in effetti particolare, di cambiamento rispetto ai decenni precedenti. In cui ebbe anche un ruolo, in negativo, la televisione.

«Il cinema fino al ’75 aveva mantenuto i presupposti di una crescita, non solo dal punto di vista dei biglietti venduti. Ad esempio la commedia italiana regge fino al ’74, fino a C’eravamo tanto amati. Dal ’75 in poi assistiamo a una riduzione dei biglietti venduti, le sale iniziano a chiudere. Non solo. In quegli anni assistiamo anche alla scomparsa dei grandi autori. Vittorio De Sica muore nel 1974, Luchino Visconti nel ’76 e Rossellini un anno dopo. La crisi del cinema, la morte dei grandi maestri. In questo scenario cosa fa Federico Fellini? È quello che sono andato a guardare».

Come affronta quindi Fellini il cambiamento?

«Fellini cerca di trovare una via nella rielaborazione del suo passato. Lo fa partendo da I clown, poi con Roma e infine in maniera straordinaria con Amarcord. Rispetto al decennio dei Sessanta inizia a cambiare il suo modo di affrontare il cinema. Sembra quasi che da questo decennio il cinema di Fellini non conosca la parola fine. Si caratterizza per una testualità esplosa, una continua frammentazione in episodi, quasi una esplosione creativa che non vuole essere ingabbiata. Già aveva iniziato un po’ negli anni Sessanta. Questo suo percorso alla fine degli anni Settanta si amplifica di più».

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