Federico Zampaglione racconta il suo nuovo film

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Lodovico è il frontman dei Mob, una band romana che si esibisce al Morrison, locale sul Lungotevere che da trent’anni dà spazio alla musica locale «sopravvivendo a tutto». Il ragazzo ha talento ma è profondamente insicuro e trema ogni volta che deve salire in palcoscenico. È anche innamorato di Giulia, un’attrice con cui divide l’appartamento ma che ha una storia con il suo agente. Un giorno, alla sede della Siae, Lodovico garantisce per Libero Ferri, un cantautore che ha avuto il suo momento di gloria e ora vive rintanato in una villona ai margini della Città Eterna, senza riuscire a comporre nessun’altra hit: accanto a lui è rimasta solo la moglie Luna che continua a credere nelle capacità del marito e lo spinge a uscire dal suo isolamento.

È la trama del film “Morrison” – presentato martedì all’Arena di Riccione, mercoledì all’Arena Bcc di Fano, e che questa sera alle 21.30 sarà all’Arena Lido di Rimini mentre venerdì all’Arena Spettacoli di Pesaro con il regista e l’attrice Giglia Marra – e rivela fin dal titolo il grande amore per la musica di Federico Zampaglione, leader del gruppo pop Tiromancino, che firma la sua quarta regia di lungometraggio e cofirma la sceneggiatura con Giacomo Gensini, adattando per il grande schermo il loro romanzo “Dove tutto è a metà”.

Zampaglione, prima di tutto, da cosa nasce l’idea che sta dietro questa storia?

«In realtà questa storia non sarebbe dovuta finire al cinema; è tratta da un romanzo scritto con Giacomo Gensini nel 2017. Dopo varie presentazioni ci siamo resi conto che molti dei nostri lettori ci vedevano un film; una produzione ha comprato il libro e ha deciso di farne un film. Mi sono ispirato a cose che mi sono successe, ad altre che ho visto succedere e anche ad alcune di cui ho sentito parlare».

Quella che racconta è una storia che ha come scenario la musica, ma quali sono i pro e i contro di svolgere questo mestiere?

«Fare il musicista significa essere libero di far conoscere il proprio credo quotidiano, liberarsi dalle proprie emozioni condividendole con chi le abbraccia; vuol dire dar voce alla propria sfera più intima. Questo tuttavia è un mestiere non sicuro, che non dà garanzie; senza pubblico e ispirazione non si va da nessuna parte. Un giorno ti puoi sentire sulla luna e il giorno dopo sei finito nel dimenticatoio per sempre. I due protagonisti sono proprio due musicisti, uno promettente mentre l’altro ha perso ogni ispirazione».

Come sono i due protagonisti?

«Lodovico è introverso e timido; ha un’estrema difficoltà nel rapporto con il pubblico e subisce moltissimo l’ansia da performance. Libero invece è più navigato ed esperto, ma è quasi totalmente disilluso nei confronti di una carriera che si sta perdendo, motivo per cui è sempre più chiuso in se stesso. Entrambi soffrono gli effetti collaterali dell’arte delle note».

Quanto è cambiata la musica nel cinema?

«Sono state fatte moltissime pellicole sulla musica ma “Morrison” è un film sulle persone, sulla loro caduta e la loro rinascita, oltre che sulla difficoltà nel gestire i sentimenti. Non è certamente un film sul successo, anzi. Personalmente posso dire di essere menefreghista nei confronti di quest’ultimo; mi piace ovviamente che la mia musica e la mia arte piacciano, ma prima di tutto devono piacere a me».

Salta all’occhio la dinamica “nostalgica”, legata non soltanto alla musica del passato. È così?

«Assolutamente sì. L’approccio di oggigiorno alla musica ha poco a che fare con il passato. Se prima c’era la fatica, il sudore e il continuo studio, adesso non è più così. Oggi chiunque si improvvisa musicista, quasi a livello amatoriale; per aver successo basta soltanto avere profili social e saperli gestire al meglio. I due protagonisti invece cresceranno e si metteranno alla prova».

Il film è tratto dal romanzo ma possiamo dire che Lodovico e Libero sono due metà?

«Il primo ha l’entusiasmo, l’energia e l’incoscienza che hanno i giovani; il secondo è sfiduciato, ha perso la speranza e ha voglia di riprovarci. Insieme si completano; sono quasi due metà della stessa mela. Non sanno ancora bene ciò che vogliono».

Musica ed emozione sono sempre a braccetto?

«Direi proprio di sì. La musica deve essere emozione, senza non ha senso di esistere».

Questo è stato uno dei primi film a tornare in sala dopo le chiusure per la pandemia. Come è stato questo ritorno, ma soprattutto, come è stato girarlo e produrlo durante il periodo del lockdown?

«Portare avanti la produzione nel periodo del lockdown è stata senza dubbio una grande responsabilità. Al di là del rischio di impresa o delle interruzioni, abbiamo deciso di provarci. La situazione che stavamo vivendo non era psicologicamente tra le più tranquille ma non abbiamo mollato e ne siamo fieri».

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