"Favorevole ai grandi progetti ma non si può mai perdere di vista ciò che si è"

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Quindici agosto 1976, era pomeriggio e Franco Poggiali mosse i suoi primi passi come agente marittimo nel porto di Ravenna. Il giorno dopo sarebbe stato assunto e da quel momento in poi è iniziato un amore che dura da più di quarant’anni. Presidente dell’Associazione agenti marittimi (in provincia sono trentasei) e titolare della società Agmar, ha vissuto in prima persona tutta l’evoluzione di quel business affacciato sul canale Candiano.

Oggi quel business è al centro di un progetto imponente, che ne delineerà il prossimo futuro in modo assolutamente rilevante. Lei, che ha vissuto e continua a vivere l’attività portuale in prima persona, cosa ne pensa?

«Nel mondo portuale tutto cambia, passa, muta. Se mi chiede cosa ne penso del progetto Hub, la risposta è che sono favorevole ai grandi progetti, perché essere lungimiranti è importante. Tuttavia, c’è un aspetto che mi piace sottolineare ed è questo: non si può mai perdere di vista ciò che si è».

Cosa intende, in riferimento al porto di Ravenna?

«Semplicemente che, per come è strutturato, in ogni caso non potranno mai venire navi enormi, se sono queste che ci aspettiamo. Il perché si giustifica in quella curva secca del nostro canale portuale, che impedisce e impedirà per sempre le manovre per mercantili più grandi di determinate stazze. Questo è il motivo per il quale, nel corso dell’ultimo discorso annuale che ho tenuto alla cena degli agenti marittimi, ho detto che un progetto, per quanto grande sia, deve essere pensato come ad una scala formata da tanti pioli. Noi dobbiamo pensare al “poco, ma subito”».

Che nel concreto vuol dire?

«Vuol dire: riportiamoci intanto a casa il nostro pescaggio, tornando a dieci metri e mezzo in tutto il canale e con un lavoro serio di consolidamento attraverso una manutenzione ordinaria. Poi andiamo pure anche oltre».

E in aggiunta a questo?

«Ci sono tanti lavori, come ad esempio l’illuminazione del canale Piomboni che ancora oggi, nonostante siamo nel 2022, non è ancora navigabile di notte».

Parlando in generale, come influiranno i lavori dell’Hub sull’operato degli agenti marittimi, in prospettiva?

«Il mio è un lavoro passionale, che io ho amato e continuo ad amare tanto. Però l’ho anche visto cambiare profondamente. Quando ho iniziato pensi che in ufficio avevo dodici postazioni telefoniche per i comandanti, che venivano qui a parlare con gli armatori. Sono vent’anni che non vedo più un comandante e le linee telefoniche le ho smantellate, perché sulle navi hanno i cellulari e le e-mail. Io oggi dialogo prevalentemente con un computer, ma le dico questo: in nome dell’efficienza stiamo svendendo la nostra socialità».

Insomma, scontate il fatto che la digitalizzazione sta di fatto frantumando le attività di servizio. Ho compreso bene?

«È esattamente così, perché il servizio esiste ed è tale se gli altri lo vedono; e se non le vedono come possono pagarlo? Attualmente serviamo ancora come trade union, come garante, tra la nave e le autorità. Stiamo mantenendo, insomma, un ruolo di rappresentanza».

Vi occupate però anche degli aspetti burocratici. Per questo le chiedo: come è cambiato il porto commerciale sotto il profilo delle merci movimentate?

«Intanto il nostro è un porto principalmente di import e poco di export, se non per la parte di container. Provando a fare una fotografia di questi quarant’anni di lavoro, devo direi che abbiamo perso un po’ le merci varie, che col passare del tempo hanno sempre più privilegiato il contenitore. Oggi, quindi, siamo principalmente un porto di merci alla rinfusa, a cui si aggiungono i prodotti siderurgici grazie alla presenza della Marcegaglia».

E sotto l’aspetto del welfare? Voi agenti siete particolarmente attivi e proprio la settimana scorsa il comitato nazionale ha parlato di Ravenna come di un’eccellenza.

«Il welfare è importante, tanto è vero che faccio parte del comitato, ma è importante quello di tutti i giorni, fatto di cose semplici e non solo di idealismi. Se non hai consapevolezza di cosa c’è dentro quei pezzi di ferro non puoi parlare di welfare. Sto parlando di uomini, ossia di membri di un equipaggio che si incontrano a bordo di una nave per la prima volta e stanno insieme per un anno intero. È una grandissima forzatura della mente, ma che poi si tramuta in una nicchia protettiva».

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