Fattoria del Piccione, la cantina nel castello

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C’è la storia delle pietre, del legno, del più recente cemento, e c’è il futuro che si affaccia, con una nuova generazione all’opera. Andrea Pasini ha 23 anni, un diploma da perito chimico che gli da esattamente la misura di «tutto quello che qui non serve». Il suo “qui” è la cantina di famiglia, la Fattoria del Piccione, entroterra riminese, azienda agricola biologica certificata dal 2019 che nel 2021 ha scoperto il metodo biodinamico.

La storia e la cantina

«A fondare la Fattoria del Piccione, che si rifà al nome con cui era identificata la sua famiglia perché veniva da Tavoleto luogo famoso per i piccioni selvatici, fu mio nonno Vitaliano – spiega oggi Andrea –. Era il 1989 la rilevò dai conti Spina di cui era fattore, ma l’azienda agricola esisteva già dall’Ottocento, creata dai marchesi Massani». L’azienda passa poi dal nonno al padre enologo Stefano Pasini e alla madre Marina Sensoli, che ora hanno coinvolto il figlio Andrea nella produzione e rilancio dell’azienda. Le tracce della storia di questo luogo sono visibili nella struttura effettivamente di fascino. La villa padronale, affiancata da chiesetta, campanile e vecchio frantoio, oggi inutilizzati, sono collegati all’edificio ottocentesco in laterizio su tre piani, dove è collocata la cantina. Il complesso si affaccia su un bel cortile adornato di pini e cipressi con vista sulle colline. La cantina non solo si appoggia al piccolo castello malatestiano di San Savino, ma ne ingloba le basi dei torrioni e parte delle antiche mura che fungono da pareti, creano il singolare microclima naturale e ospitano i lieviti utili alle fermentazioni. «La nostra cantina, in parte cinquecentesca e in parte ottocentesca, è per noi fonte di grande ispirazione – dice Andrea – e segna già da sé i nostri vini che da qui prendono i lieviti spontanei, beneficiano del clima naturale, affinano. Lavorare in stretta connessione con questi spazi ci fa sentire artigiani». La cantina sfrutta la gravità: le uve vengono scaricate per caduta dal piano terra al livello sotterraneo, a 5 metri di profondità, dove avvengono pigiatura e fermentazione, a temperatura non controllata e con lieviti indigeni, tutta in botti di cemento vetrificato, mantenute dall’azienda originaria. Sempre sotto terra, e fra le pietre antiche, Andrea ha ricavato da poco lo spazio per la suggestiva riserva storica raggiungibile da una specie di passaggio segreto. Al piano terra, risalendo, ci sono le botti di affinamento, grandi, tonneau e qualche barrique non tutte utilizzate; al piano superiore, nell’ex granaio, la sala degustazione.

I vigneti, e l’uliveto

Intorno alla cantina e al castello sono visibili una sessantina dei duecento ulivi che danno l’olio fruttato e saporito con etichetta Fattoria del Piccione, i vigneti aziendali invece sono intorno alla casa di famiglia a poco meno di due chilometri, a San Clemente. Dieci ettari complessivi, di cui 7,5 in località Agello dove maturano sangiovese, ancellotta, pagadebit, malvasia aromatica e dal 1990 anche un ettaro scarso di grechetto per la Rebola. Si aggiungono 2,5 ettari in affitto a Passano, più un ettaro “in costruzione” a Misano dedicato a Rebola e Pagadebit. Oggi l’azienda etichetta 13 referenze, con l’obiettivo di ridurle sensibilmente, per 40mila bottiglie totali prodotte.

I vini

La Fattoria del Piccione aderisce dall’anno scorso al Progetto Rebola. La vigna del bianco riminese che ha conosciuto una nuova ribalta è del 1990 ma viene etichettata come Villa Massani dal 2014. L’annata 2021 uscirà ad aprile e all’assaggio oggi offre senza dubbio un sorso interessante, sapido e polposo insieme, una macerazione breve prefermentativa ne valorizza il frutto e non enfatizza artificiosamente la semiaromaticità tipica del grechetto gentile. Fragrante di piccoli frutti il Sangiovese superiore San Savino 2020. Il sangiovese riserva Agello è disponibile nella annata 2015, poi si salta direttamente al 2019 non ancora in commercio. Matura due anni in botte grande e 12 mesi in cemento, quindi passa al vetro e riposa. Il legno ammorbidisce ma non invade e lascia scoperto un bel frutto. Interessante il Tintorio 2019, una inusuale vinificazione in purezza di uve ancellotta. Il “Donna Teresa” è un omaggio alla nonna, moglie di Vitaliano. È un ambrato vino da malvasia aromatica raccolta in surmaturazione, passata in barrique esausta. Per nulla stucchevole, è davvero la carezza amorevole di una nonna al nipote che porta avanti la storia di famiglia.

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