Inchiesta sui fallimenti, via i sigilli a hotel e immobili dei Coppola

Cesenatico

Restituiti l’hotel Ancora di Cesenatico e i 26 appartamenti a lido di Savio sequestrati ai fini della confisca due anni fa nell’ambito dell’inchiesta sui presunti fallimenti pilotati, finalizzati secondo la procura di Ravenna a svuotare le società che gestivano strutture ricettive lungo la Riviera portandole al collasso. Il processo nei confronti della famiglia Coppola, imprenditori di origini campane particolarmente noti nel Riminese e, di alte quattro persone ritenute dall’accusa sodali di una vera e propria associazione per delinquere finalizzata alla bancarotta fraudolenta con operazioni di distrazione e riciclaggio, è tutt’ora in corso. E’ tuttavia di questi giorni il decreto con il quale la corte d’appello di Bologna restituisce i beni congelati nel novembre del 2020, accogliendo l’istanza proposta da Christian Coppola e Nunzio Balestrieri (cugino di secondo grado del primo), titolari dell’hotel Ancora e degli immobili situati nella frazione balneare ravennate.

«Manca la pericolosità»

Il dissequestro risponde a un principio fissato dalla Cassazione: quello della pericolosità. Per la Corte felsinea presieduta dal giudice Luca Ghedini (a latere Luisa Raimondi e Stefania Di Rienzo) viene infatti a cadere il «giudizio di pericolosità generica», requisito fondamentale per applicare la misura di prevenzione tipica dei provvedimenti antimafia. Viene esplicitato nei motivi della decisione che «il Coppola è, allo stato, incensurato e il procedimento penale dagli atti del quale il tribunale ha ritenuto di desumere gli indici di pericolosità non ha ancora affrontato il vaglio dibattimentale».

L’accusa: mutui sospetti

Diversa la linea dell’ipotesi accusatoria fondata sulle risultanze delle indagini condotte dalla Guardia di Finanza e coordinate dal sostituto procuratore Lucrezia Ciriello. Secondo quanto contestato, i Coppola avrebbero agito acquistando direttamente o per interposta persona una ventina di società operanti nel settore turistico alberghiero, sottoponendole a sistematiche distrazioni delle rispettive risorse finanziarie fino ad arrivare a svariate bancarotte considerate seriali. Tra il 2007 e il 2012 l’entità delle somme sottratte dai conti delle imprese acquisite avrebbero sfiorato i 3 milioni di euro. Nello specifico caso dell’hotel Ancora, l’acquisto con un mutuo di 600mila euro si sarebbe scontrato con redditi del tutto insufficienti per sostenere il pagamento delle rate. Stessa cosa per i 26 immobili di Lido di Savio, comprati con un finanziamento di 2,1 milioni di euro.

La difesa: «Ma sottratto nulla»

A tali accuse, la difesa aveva replicato con una consulenza di parte, evidenziando che le società alle quali era intestato il mutuo in quegli anni avrebbero presentato ricavi tali da sostenere le rate. Tra gli altri punti per chiedere il dissequestro, la difesa aveva poi sollevato la mancanza di una correlazione temporale tra l’acquisto dei cespiti immobiliari e la presunta pericolosità generica. In altre parole, rimarcava che al momento dell’acquisto dei beni le società fondate da Coppola insieme ai coimputati non erano ancora state costituite. Per l’avvocato Thomas Coppola, difensore del fratello Christian insieme al legale Carlo Taormina, la revoca è stata disposta poiché «in sede istruttoria siamo riusciti a contestare e provare che non ci sono fatti concretamente apprezzabili che possano ricondurre ad atti di distrazione, in quanto Christian Coppola ha sempre arricchito le società e mai sottratto alcuna somma». Associazione per delinquere finalizzata alla bancarotta fraudolenta e riciclaggio. Questi i reati che compongono l’asse portante del processo che coinvolge i due fratelli Christian e Ivan Coppola. Il procedimento penale è attualmente a dibattimento davanti al collegio del Tribunale di Ravenna e vede tra gli imputati anche un avvocato riminese. Sono accusati a vario titolo di aver gestito attraverso teste di legno diverse strutture ricettive del litorale, svuotandole di risorse economiche per complessivi 5 milioni di euro e portandole al fallimento. L’inchiesta è stata avviata in seguito a un esposto presentato da un gruppo di operatori della riviera romagnola che nel 2012 si erano rivolti alla Procura e alla Guardia di finanza rappresentando una gestione opaca di attività alberghiere nelle zone di Cesenatico e Lido di Savio che costituivano una forma di concorrenza sleale oltre che, sempre ad avviso dei denuncianti, un danno per il sistema ricettivo. Secondo le contestazioni, infatti, senza pagare i fornitori ed evadendo imposte e contributi, venivano offerte camere e proposti soggiorni a prezzi stracciati a scapito dei servizi; si spiegherebbero così le recensioni negative su social e portali turistici da parte dei clienti che una volta sbarcati sul litorale per le ferie spesso non erano soddisfatti del trattamento ricevuto. L’indagine, che ha poi portato alla contestazione dell’associazione a delinquere finalizzata alla bancarotta, avrebbe portato a ricostruire un vorticoso sistema di scatole cinesi e una serie di società (quasi tutte con sede legale allo stesso indirizzo di Cervia) e prestanome. A coprire i flussi finanziari, sempre per l’accusa, ci pensavano scritture contabili mancanti o poco limpide.

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