Maria Grazia Calandrone: "Se non conosci il male non puoi diventare cantore del bene"

Faenza

“Il bene morale” di Maria Grazia Calandrone canta a voce libera e gioiosa il canto dell’infanzia, proprio mentre ci interroga duramente sull’orrore umano, soffermandosi sui dettagli delle camere a gas, del disastro del Vajont o della strage contemporanea e permanente di migranti nei nostri mari. La più recente raccolta della poetessa romana, recentemente edita da Crocetti, viene presentata oggi alle 18 alla Biblioteca Manfrediana di Faenza insieme all’autrice da Monica Guerra e Michele Donati, per la rassegna dì incontri dell’associazione Independent Poetry.

Poeta, scrittrice, giornalista, drammaturga, artista visiva, autrice e conduttrice Rai, Maria Grazia Calandrone dal 2010 divulga la poesia dei grandi maestri in programmi come “Alfabetiere poesia”. È stata regista del ciclo di interviste “I volontari”, di un documentario sull’accoglienza ai migranti e del videoreportage su Sarajevo “Viaggio in una guerra non finita”. Il 5 gennaio ha dedicato su Radio3 la puntata della trasmissione “Qui comincia” al film di Silvio Soldini “Treno di parole. Viaggio nella poesia di Raffaello Baldini”.

Calandrone, in che maniera il richiamo a un bene etico e responsabile significa che è compito della poesia ricordare la grandezza possibile della nostra persona?

‹‹Io penso che se non si conosce il male non si può diventare cantori del bene, anche se in questo ci sono infinite declinazioni. Tutti i grandi poeti non chiudono gli occhi sugli orrori della storia. Come scrisse Paul Celan, a proposito della Shoah, è “cantare al di sopra di ogni spina”, così come fu per Hikmet e per tutti i poeti che hanno vissuto grandi tragedie, ma trovando la maniera di poterle scavalcare tramite la bellezza della natura umana››.

‹‹Nel futuro di tutti unica logica la comprensione, che significa conoscere la realtà da cui provengono queste persone, la precarietà delle loro vite›› si ascolta nel suo documentario per Radio3 “Vicini di casa, I migranti e la rotta balcanica”. Di fronte a questo e altri drammi della contemporaneità cosa ci dice la poesia?

‹‹Quello che ci ha sempre detto. La poesia è sempre servita come un controcanto, a puntare il dito sulla speranza, è un dovere politico sperare, evidenziare la bellezza del mondo. I poeti sono chiamati a trasfigurare le cose come sono. È indispensabile che essi siano attivi nella vita pubblica, perché hanno riflettuto anche sull’utopia, senza la quale non si va da nessuna parte. Quello degli immigrati è un diritto che viene spacciato per invasione. L’Occidente, che è imploso nella sua stessa logica, mi fa pensare a un’invidia provata per quei profughi, che sono portatori di un sogno, cambiare la loro vita››.

Il 5 gennaio ha dedicato la puntata della sua trasmissione “Qui comincia” al tema del viaggio nella poesia del santarcangiolese Raffaello Baldini, individuando nella sua capacità, nella sua volontà di dare alla cose il nome come nella propria lingua madre, come la vera cultura sia semplice, dissimula se stessa, non si esibisce…

‹‹“La cultura è l’esperienza che si è fatta, avendo vissuto molto” per Rainer Maria Rilke. Aver avuto il coraggio di guardare in faccia la propria esistenza, certamente anche con l’aiuto delle parole di altri. Proprio come quando nel film di Soldini qualcuno racconta come – al termine di una lettura – una signora del pubblico abbia avvicinato Baldini e gli abbia detto: “Ma che bello quello che ha letto! Non sembra neanche poesia!”››.

‹‹La poesia, lei ha scritto, abitua alla identificazione, e dunque alla compassione, il più utile dei sentimenti umani». Si può quindi considerare una sorta di cura della “malattia sociale” del nostro tempo?

‹‹I poeti, come scrive anche Mariangela Gualtieri, cercano ciò che rende umani. La poesia deve essere sentita come un controcanto in questo momento in cui siamo istigati solo all’odio, alla paura, alla menzogna, dove tutti possono dire di tutto... “Quando senti il male altrui non puoi fargli del male” ho scritto in una poesia su Hiroshima. Se un poeta sa riconoscere il male e far immedesimare il lettore nei propri sentimenti, credo che questo possa avere influenza sulla comprensione, sulla natura umana».

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