Da Casola Valsenio sull’Alto Atlante alla ricerca di grotte e fenomeni carsici

Faenza

FAENZA. Nella mitologia greca, Acheloo era la più importante fra le divinità-fiume, figlio di Oceano e padre delle Sirene. E da lui ha preso il nome “Acheloos–Geo Exploring”, gruppo di ricerca speleologica di cui fa parte anche Andrea Benassi, esploratore ed antropologo con base a Casola Valsenio.
L’ultima spedizione di Benassi è terminata pochi giorni fa ed è durata circa 18 giorni: un viaggio che lo ha portato, insieme ai colleghi toscani Chiara Vannucci, Tommaso Biondi e Folco Mariotti, a scoprire l’aspra bellezza dell’Alto Atlante, la catena montuosa più alta del Marocco: «Siamo partiti il 15 gennaio e tornati l’1 febbraio – spiega Benassi –. Per me era la sesta volta in Marocco: è dagli anni ’90 che ci torno periodicamente, ogni volta ci sono luoghi nuovi da scoprire».

Missione tra neve e gelo

La zona scelta dagli esploratori si trova 150 km ad est di Marrakech: un’area montana e subdesertica dove in estate è praticamente impossibile stazionare data la scarsità d’acqua. «Dal punto di vista speleologico – prosegue Benassi – il territorio che abbiamo visitato ha grandi potenzialità, anche se non è stato ancora studiato approfonditamente: abbiamo scelto la stagione invernale anche perché è più facile individuare la presenza di eventuali grotte grazie ai cosiddetti buchi soffianti, tracce di circolazione sotterranea dell’aria a una diversa temperatura».
Sull’Alto Atlante l’inverno è però particolarmente rigido: «Ci siamo spostati a piedi percorrendo circa 150 km tra creste e valli, ad una altitudine compresa fra i 3.200 e i 3.500 metri. Abbiamo incontrato una perturbazione polare che in un paio di giorni ha portato mezzo metro di neve, e la temperatura non saliva mai sopra lo zero. Ci siamo segnati le zone più interessanti per tornare in primavera, probabilmente nei primi di giugno, con un gruppo più numeroso».

L’azione inesorabile del tempo e soprattutto le conseguenze dell’ultima glaciazione hanno reso difficile l’identificazione precisa di grotte e fenomeni carsici, ma gli esploratori sono comunque riusciti a farsi valere riportando in Italia il racconto di un paesaggio mozzafiato ancora tutto da conoscere: «In una grande gola che taglia in profondità la montagna per mezzo chilometro – continua Benassi – abbiamo notato alcuni portali naturali, dai 10 ai 50 metri di grandezza, che sembrano imbocchi di collegamento con la parte opposta. Forse si tratta di un carsismo molto antico e particolare, sviluppatosi prima dell’avanzata del deserto, quando ancora vi era un clima di tipo equatoriale». Tracce smantellate dai ghiacciai, relitti di antiche gallerie: il corso dei secoli ha prodotto qui uno spettacolo magnifico che le popolazioni locali sanno ancora utilizzare con rispetto. «Anche noi – osserva Benassi con sguardo da antropologo – abbiamo sfruttato gli arzib, gli insediamenti verticali utilizzati dai berberi che colonizzano le montagne per i pascoli».

Pitture rupestri

E su alcune rocce basaltiche sono perfino visibili le pitture rupestri che chissà quale mano ha tratteggiato. In attesa di studiare questa ed altre meraviglie, Benassi e il suo gruppo hanno già in cantiere diverse ricerche: «Prossimamente – conclude lo speleologo – ci inoltreremo in zone tropicali».

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