Faenza, "violentata anche con una sigaretta": il matrimonio combinato diventa un incubo

Faenza

Era bastato un anno di fidanzamento per convolare a nozze. D’altra parte, il matrimonio era già combinato: lei, neo maggiorenne, lui invece, di sette anni più grande. Praticamente due sconosciuti. Quando ha capito chi fosse davvero l’uomo che aveva sposato, era ormai tardi. Scoprire che il marito faceva uso di droga è stata solo la punta dell’iceberg, dalla quale sono iniziati tre anni da incubo, tra maltrattamenti, sevizie e abusi sessuali, che si sono conclusi solo un anno fa, nel luglio 2021, quando la giovane è scappata con il figlio di pochi anni in braccio dalla casa in cui era trattata come una serva, in un comune del Faentino. Ha trovato rifugio a Milano, dove ha sporto denuncia e dove è stata accolta da una comunità per donne maltrattate. Il suo racconto ha fatto finire in manette il marito, albanese ora 29enne, che ieri è stato scortato dal carcere di Pavia per comparire davanti al giudice per l’udienza preliminare Janos Barlotti. Ad attenderlo alle porte del tribunale c’erano i parenti, una decina di persone in fila per abbracciarlo prima dell’ingresso al palazzo di giustizia.

La testimonianza choc

Al giudice, protetta da un pannello oscurante per non farle incrociare lo sguardo dell’imputato, la giovane (difesa dall’avvocato Valentina Bartolini) ha riferito gli episodi finiti nel capo d’accusa formulato dal sostituto procuratore Lucrezia Ciriello. Per tre mesi, dopo il matrimonio celebrato nel dicembre del 2018, sarebbe stata chiusa a chiave in casa senza potere uscire, se non per andare in lavanderia. Il permesso per uscire arrivava saltuariamente e con l’intimazione di andare “ al semaforo”, per prostituirsi. La vittima ha raccontato delle percosse subite anche davanti ai parenti, quella volta che fu punita perché non aveva preparato il pane. Oppure nel febbraio del 2020 l’uomo l’aveva abbandonata per cinque ore in mezzo al nulla, al freddo della campagna innevata, senza telefono.

Violentata con la sigaretta

Sono più di una le violenze sessuali denunciate dalla vittima. Inquietante quella nella quale il marito avrebbe preteso un rapporto intimo appoggiando una sigaretta accesa sul comodino e intimando alla moglie di non fiatare; “ stai zitta se no ti spengo la sigaretta dove ti fa male”, queste le parole riportate in sede di denuncia.

Pestata di fronte al figlio

Era accaduto che il marito l’avesse pure minacciata con una pistola. E quando successivamente l’arma era scomparsa, l’uomo aveva dato a lei la colpa, assicurandole con un coltello puntato alla gola che le avrebbe buttato la testa nel water se non gliela avesse riconsegnata. Niente contatti con l’esterno, niente cellulare, se non quello della suocera. Ogni “trasgressione” ai dettami domestici valeva pugni, schiaffi e calci. Per fronteggiare lividi e dolori la obbligava anche ad assumere tachipirina e oki. Così arriviamo agli ultimi mesi; nell’aprile di una anno fa l’aveva chiusa fuori casa, facendole passare la notte sulle scale del palazzo di fronte. Il mese successivo l’aveva picchiata fino a farla svenire. L’ultimo pestaggio era avvenuto sotto gli occhi del figlio, a sua volta colpito al volto dalla testa della madre, centrata da un pugno. Episodi ora finiti agli atti del processo che il difensore dello straniero – l’avvocato Alessandro Cristofori – ha incardinato con rito abbreviato condizionato dall’escussione della parte offesa e del titolare di un’attività commerciale nelle vicinanze della casa dei coniugi. La sentenza è attesa per settembre.

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