Esiste un patrimonio di opere idrauliche secondarie dimenticate, sperdute nella vegetazione, oppure trascurate o modificate se non addirittura rimaste sepolte per anni e riaffiorate in seguito alle recenti frane e inondazioni. Sono opere di contenimento, drenaggio, regimazione delle acque lungo i fiumi o al servizio del vasto reticolo di torrenti, canali, rii, fossati in collina come in pianura. Si tratta di muretti, briglie, trincee, saracinesche, consolidamenti, ponticelli, palizzate e gabbionate di sassi realizzati in passato e intesi a rendere maggiormente sicuro il territorio dalle inondazioni e più scorrevoli i corsi d’acqua. Tante di queste opere appaiono in abbandono, ma in un’ottica di revisione del sistema idrogeologico e idraulico sarebbe un oltraggio continuare a trascurarle, perché la loro efficienza incide sul funzionamento di tutto il sistema. Il loro contributo a mitigare gli effetti climatici è evidente.
A Faenza città, lungo l’argine destro del Lamone, in corrispondenza di via Cimatti, l’alluvione ha scoperto sotto l’argine un lungo muretto, simile a quello crollato dall’altra parte, in via Renaccio. I mattoni sembrano gli stessi. Era sepolto e probabilmente aveva una sua funzione. Altri esempi sono rintracciabili nei rii che sfociano nel Lamone a monte di Faenza, ma anche lungo il Senio. Rio Quarto, in zona San Cristoforo, il 31 maggio del 2014 fu protagonista di una violenta inondazione. A margine del suo percorso molte case rimasero allagate, le auto furono scaraventate a centinaia di metri nella vasta area golenale del Lamone, dove studi del 2010 commissionati dalla Regione individuano una cassa di espansione mai realizzata. All’epoca franò anche la Provinciale 302. La casa di Anna Grazia Carlini fu tra le più colpite. «Stavolta (il 3 e 17 maggio, ndr) ci è andata bene, l’acqua ci ha solo sfiorato – racconta – ma viviamo nel costante terrore, perché questo non è un rigagnolo, se piove diventa un torrente impetuoso: a monte raccoglie le acque del rio Berta e le sue dimensioni non sono sufficienti a smaltire i grossi temporali senza conseguenze». La signora mostra palizzate divelte, una briglia rovinata e addirittura un muro di cemento costruito al centro dell’alveo originario che secondo lei «è abusivo, realizzato per ricavarne un passaggio alternativo verso una casa oltre la ferrovia, restringendo il torrente». Più a monte si trova Rio Quinto, che presenta una frana con alberi precipitati nell’alveo a bloccare lo scorrimento dell’acqua. Anche qui, sotto la vegetazione vi sono muretti, briglie e strutture, di cui la natura si è impossessata. I casi simili sono molteplici. E a rendere precario il sistema contribuiscono anche i fossati, che fino a qualche decennio fa erano una norma ai confini delle proprietà mentre ora molti risultano soppressi. Fossati che rallentavano lo scorrimento verso i fiumi, evitando le piene veloci.
Il che conferma che il territorio e’ completamente abbandonato da decenni. Si e’ preferito investire in altro.