Faenza, ristampate le "Passeggiate" di Ricci Signorini

Cultura

Da Coriano a Cattolica, da Longiano a Saludecio, sul monte Falterona, al castello di Sorrivoli. “Passeggiate” in Romagna, ma anche fino al Gran Sasso, del poeta Giacinto Ricci Signorini (Massa Lombarda 1861). Prose di genere odeporico (cioè di viaggio), ricche di flânerie esistenziali, tra divagazioni e slanci sentimentali, tra liberty e decadentismo, Pascoli e Gozzano.

Attraverso sentieri, dentro borghi e città, lungo le tappe del tormentato viaggio, riflesso della dolente natura interiore dell’autore, si fa conoscenza di quella che Marino Biondi ha definito «l’arte dolorosa di Giacinto Ricci Signorini», colui che fu considerato il più “maudit” degli autori romagnoli, discepolo di Giosuè Carducci e morto suicida a Cesena nel 1893.

Anche per questo Valerio Ragazzini ha voluto dare nuovamente alle stampe queste sue “Passeggiate” (edite dalle faentine White Line), uscite per la prima volta fra il 1891 e il 1893 sul quotidiano cesenate “‘Il cittadino”.

Ragazzini, quale il senso di questa iniziativa?

«Oltre il suo inevitabile destino di dimenticato, di introvabile, di “fuori catalogo”, il senso di questa pubblicazione è far riscoprire quei testi. I quali hanno un valore. Credo aggiungano qualcosa al panorama letterario romagnolo».

Quale fu quindi il valore di Ricci Signorini come prosatore?

«Ogni scrittore è portatore di una propria visione delle cose, perciò anche Ricci Signorini, con la sua opera, ha aggiunto un tassello a quel variegato puzzle che è il panorama letterario della Romagna, una terra “difficile da cantare”, nelle parole di Marino Moretti. Il pregio della sua prosa sta nel costituire un efficace contraltare alla rigida produzione poetica. Troviamo in queste “Passeggiate” la volontà di evasione, che ci restituiscono un’immagine diversa del poeta, ancor prima che del paesaggio».

Perché l’autore subì l’indifferenza di critica e pubblico?

«Si è spesso parlato di “sorte avversa”, quasi che il destino non avesse riservato un posto per Ricci Signorini nella schiera dei poeti di successo. Egli lamentava la scarsa attenzione riservata alle sue pubblicazioni o alle sue conferenze, e questo, unitamente ai numerosi lutti in famiglia, non lo ha di certo aiutato, spingendolo verso una fine tragica. La sua opera poetica ancora attende il giusto riconoscimento».

Si può definire “leopardiana” l’eco del dolore che esprime anche in molte pagine di queste “Passeggiate” romagnole? (“E se qualche grido rompe il silenzio pare il suono di una lingua ignota...”).

«In un passo della sua critica, Luigi Donati, che curò l’edizione postuma delle sue opere, definiva Ricci Signorini come una «reale personificazione del dolore», gettando un fugace paragone proprio col Leopardi, due individualità che hanno avuto percezione delle nostre angosce morali. E aggiunge che Ricci Signorini pareva amare molto Leopardi, vista l’attenzione che gli dedicava durante l’insegnamento. Ma subito ci fa notare la grande differenza fra i due, poiché non c’è un vero e proprio pessimismo nel poeta romagnolo. «Egli vorrebbe esser forte e utile a tutti», scriveva Donati, e la causa della sua infelicità fu l’impossibilità materiale di poter essere quel qualcosa a cui aspirava».

Romagna:una malinconiapaesaggistica

Quanto la poetica di Ricci Signorini si riflette nella sua visione del paesaggio romagnolo?

Sottolinea Ragazzini: «Il paesaggio romagnolo è indubbiamente malinconico, ma è bene ritornare con la mente alla Romagna di fine Ottocento, laddove si verificava un netto contrasto fra queste anime intellettuali, alcune addirittura bisognose di gloria, magari con i piedi in campagna e gli occhi rivolti al mondo intellettuale europeo, e una terra profondamente arretrata. Ecco perché Ricci Signorini appare spesso estraneo al paesaggio. Francesco Balilla Pratella una volta scrisse che questa terra non è fatta per i poeti, e questo non trovar spazio, questa impossibilità di sentirsi a casa nella propria terra, si riflette nell’errare e nel dolore taciuto di queste prose». M.T.

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